San Marco non abita più qui

Paola Somma

Nel dipinto San Marco benedice le isole veneziane di Domenico Tintoretto, il protettore di Venezia è raffigurato mentre stende la mano benedicente verso le prime capanne ed i primi abitanti della laguna. Ora gli abitanti sono stati cacciati e san Marco è stato spodestato da san Demanio, benemerito patrono degli investitori del comparto turistico.

Il quadro era stato commissionato per la Scuola Grande di San Marco, attuale sede dell’Ospedale Civile, la cui facciata sul campo san Giovanni e Paolo è squisita opera di Pietro Lombardo e Mauro Codussi. Per le dimensioni e le caratteristiche architettoniche, il monumentale complesso è chiaramente molto appetibile per gli sviluppatori, tanto che quando, il primo aprile 2019, sul portone d’ingresso è stato affisso un cartello con l’avviso che dal primo maggio l’edificio sarebbe diventato un albergo, molti cittadini non hanno pensato si trattasse di un pesce d’aprile. Per il momento, l’ospedale funziona ancora, ma l’azienda sanitaria, che ha aderito ad Acosi, l’associazione degli ospedali storici (di cui fanno parte Santa Maria Nuova a Firenze, Santo Spirito in Sassia a Roma, l’Ospedale degli Incurabili a Napoli e la Cà Granda, Ospedale Maggiore a Milano) si è impegnata ad “organizzare eventi che valorizzino le migliori modalità di gestione del proprio patrimonio artistico ed architettonico”.

“Tanti turisti non hanno la possibilità di conoscere la bellezza conservata in queste strutture, ed è un peccato” sostiene Edgardo Contato, direttore generale dell’azienda, a cui parere “queste realtà uniche vanno valorizzate”. Ovviamente, aggiunge Contato “questi ospedali non devono diventare solo musei, perché da sempre sono luoghi di cura … compito di Acosi è trovare il compromesso storico tra le due esigenze: una strada non facile”. Intanto, mentre i responsabili del servizio sanitario pubblico sono impegnati ad attrarre turisti all’interno dell’ospedale, chi vi accede per sottoporsi a un esame o per visitare un malato deve scontrarsi con torme schiamazzanti a caccia di bellezze nascoste.

Nella biblioteca dell’Ospedale è esposta una riproduzione del quadro di Domenico Tintoretto; l’originale si trova alle gallerie dell’Accademia, che “contengono la più grande collezione di pittura veneziana al mondo” e non dovrebbero aver bisogno di promozione turistica. Il direttore Giulio Manieri Elia, però, intende valorizzare il museo attraverso “il rilancio della sua immagine” e a questo scopo ha ritenuto fondamentale far indossare agli addetti a contatto con il pubblico “divise nuove che conferiscano un’immagine di alto profilo e di eleganza formale all’altezza delle collezioni”. Ha quindi incaricato Dior, il cui proprietario Bernard Arnault a Venezia gestisce il Fondaco dei Tedeschi, di disegnare “capi pensati per trasmettere eleganza, creatività e autorevolezza … caratteristiche fondamentali per introdurre gli ospiti del museo ad un patrimonio artistico di qualità inestimabile”.

Così, i lavoratori dei musei veneziani, le cui periodiche proteste per le condizioni di lavoro non dignitose rimangono senza risposta, potranno sfoggiare “un tocco di stile e di glamour” per piacere ai turisti. Dior, invece, avrà duecento ingressi gratuiti, potrà usare il nome dell’Accademia e organizzare al suo interno cinque eventi di cui “un light aperitivo con cena nel cortile di Palladio”.

In quanto a san Marco, se, scappando dall’ospedale e dal museo, cercasse rifugio in chiesa scoprirebbe che nonostante i miliardi che i contribuenti italiani hanno pagato e continueranno a pagare per le opere che dovrebbero difendere Venezia dall’acqua alta, i progetti per gli interventi a protezione della sua basilica subiscono continue modifiche e ritardi. Un incredibile episodio riguarda il progetto di una balaustra di vetro predisposto dalla Procuratoria di san Marco che, nel 2020, la commissaria al Mose, Elisabetta Spitz, non si sa a che titolo, ha fermato affidandone la revisione a Stefano Boeri. Il progetto “mi è sembrato non adeguato al valore architettonico della Basilica” ha dichiarato la Spitz, “abbiamo deciso di affidarci a un grande architetto”. L’intervento migliorativo dell’archistar, che ha deciso di “regalare” il progetto alla città, accontentandosi di lasciare la sua impronta in piazza, è consistito nell’aggiunta di una barra d’acciaio al cristallo. Il progetto è stato bocciato (perfino) dal comitato del Mibact e la basilica continua a subire danni, ma in piazza sono tornati milioni di turisti.

Le tre storielle possono sembrare poco rilevanti in confronto a quello che succede ogni giorno dall’incessante apertura di nuovi alberghi e strutture turistiche, al taglio e/o privatizzazione di servizi pubblici e alla militarizzazione della città. Ma danno un’idea di come le istituzioni creino il clima “culturale” che consente di sfrattare san Marco, e noi con lui.


Fotografia dal sito della Scuola Grande di San Marco.

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