Controreplica al Ministro. Cederna spiegato a Franceschini

Giovanni Losavio

Chiamato a dir la sua sui casi di malatutela documentati da Tomaso Montanari sul Fatto Quotidiano di ferragosto, il Ministro Franceschini dopo il riconoscimento d’obbligo del ruolo di vigilanza di associazioni e studiosi ne fissa subito il limite. Perché il rispetto (doveroso si intende) del lavoro delle soprintendenze “significa accettare la loro scelta sia quando esteticamente la si condivide che quando non la si condivide”.

Molto gravi e preoccupanti sono le sue dichiarazioni, perché obbiettivamente suonano come indirizzi politici dati all’esercizio dei compiti istituzionali degli organi centrali e periferici del suo ministero. E se l’auspicata innovazione dentro la città storica, per integrare le lacune del suo tessuto edilizio, è espressione della attardata cultura che si credeva travolta  fin dagli anni 60 del Novecento, è però vero che allo stato della vigente legislazione agli uffici della tutela non è data competenza sulla disciplina e sulla prassi degli interventi pure in quella parte della città urbanisticamente riconosciuta come speciale zona A per i caratteri di ‘qualificata cultura urbana’, il ‘centro storico’.

Assai più grave e allarmante è l’affermazione del Ministro che legittima la innovazione anche in funzione del compito primario di tutela del singolo riconosciuto bene culturale e considera la valutazione di compatibilità di ogni intervento su di esso come espressione di scelte discrezionali orientate dal soggettivo apprezzamento estetico, essenzialmente  incontrollabile. Quando invece la funzione dell’art. 9 costituzione si fonda sugli obbiettivi principi dettati dal codice dei ben culturali e del paesaggio che ha tradotto in norme vincolanti gli esiti della più aggiornata cultura della conservazione del restauro e dunque si oppone agli innesti modernizzanti sul testo autentico, fosse pure giunto a noi incompiuto. Così non intende il Ministro che rivendica il diritto dei moderni di “aggiungere, integrare con arte e architettura contemporanea frutto della creatività di grandi maestri e giovani talenti”.

Proposizione eversiva, come conferma l’esplicito richiamo al caso della Loggia di Isozaki, che, nell’insulso proposito di monumentalizzare l’uscita dal museo degli Uffizi, intende porre rimedio al ‘non finito’ del prospetto retrostante della illustre fabbrica vasariana. Un’operazione di completamento (da oltre un decennio inattuata, solo oggi trovati i non pochi milioni necessari) che sarebbe severamente censurata come inammissibile manomissione di un dipinto o di una scultura (ut pictura architectura), vietata dalla carta del restauro che neppure “il concorso cui hanno partecipato i più grandi architetti” può valere a disattendere.


Fotografia di Sterling Lanier da Unsplash