L’anima e l’arte di Firenze svendute a sponsor e loghi

Tomaso Montanari

E così questa volta il modello Renzi-Nardella si è inceppato, e il sindaco di Firenze ha dovuto fare marcia indietro. Non ha avuto il buon gusto di chiedere scusa, figuriamoci: si è limitato a sconfessare i suoi che avevano proiettato, alla fine del pacchianissimo F-light (Firenze Light Festival), il logo dello sponsor, l’American Express, sul loggiato brunelleschiano degli Innocenti e su Ponte Vecchio, assicurando che non si ripeterà più. Bontà sua. Cosa era successo? Le foto che avevano preso a circolare sul web hanno suscitato un’inedita ondata di sdegno: lo stimatissimo abate di San Miniato al Monte (che aveva già denunciato “la trasformazione del mirabile frontespizio geometrico della facciata romanica di San Miniato in variopinta luminaria da albero di Natale… effimera e cangiante cornice esornativa, degna più del collodiano ‘paese dei balocchi’ che della nostra Firenze”) ha commentato su twitter con un inequivocabile: “Basta, basta, basta!”.

E questo era il punto: perché non si è trattato di un incidente isolato, ma dell’ennesima violenza morale al corpo prostrato e prostituito di Firenze. Ricordate la cena della Ferrari a Ponte Vecchio, la cena di Stefano Ricci sul Ponte a Santa Trinità, il Battistero fasciato da un enorme foulard di Pucci, l’assurda ricerca del “Leonardo” nel Salone dei Cinquecento, le sfilate di moda agli Uffizi, le partite di golf nella Biblioteca Nazionale, l’addio al celibato e poi la “mostra” di Lagerfeld nelle sale della Galleria Palatina di Palazzo Pitti, il convegno dell’hard Luxury in Palazzo Vecchio, la cena della Morgan Stanley in una cappella di Santa Maria Novella? E queste sono sole pochissime tra le infinite operazioni di sponsorizzazione selvaggia degli ultimi anni.

Quando Mattarella venne a Firenze per gli Stati generali della lingua italiana (2016) nel piazzale degli Uffizi erano esposte due scintillanti auto di lusso, e il sito di Fca chiariva che “la Maserati Quattroporte esposta a Firenze da questa mattina è di colore bianco ed è situata esattamente sotto la statua di Francesco Petrarca, mentre Alfa Romeo Giulia Quadrifoglio con motore 2.9 litri V6 da 510 cavalli di colore rosso si trova sotto la statua di Giovanni Boccaccio. Questa iniziativa rappresenta uno dei numerosi modi trovati negli ultimi tempi dal gruppo italo americano del numero uno Sergio Marchionne per promuovere la propria gamma di prodotti”. All’incredulità e all’indignazione dei passanti, esterrefatti dalla riduzione a show room dello spazio pubblico monumentale, l’allora assessore (all’istruzione!) Cristina Giachi replicava che “allo sponsor qualcosa si deve pur concedere”. Qualcosa, cioè Firenze: la sua faccia, la sua anima. Se a questo sommiamo l’incessante privatizzazione degli spazi pubblici (che sta culminando nello scempio del convento di Costa San Giorgio trasformato in resort di lusso) si capisce a cosa dica “basta!” l’abate Bernardo: basta alla mercificazione della città.

Nardella vuole che lo crediamo stupito e contrariato per il fatto che un festival che gode del patrocinio del suo Comune possa culminare in una simile marchiatura commerciale dei monumenti. Dovrebbe leggersi un meraviglioso racconto di Primo Levi (In fronte scritto, 1971) in cui si racconta di una coppia che, avendo bisogno di soldi, accetta di fare la fine di Firenze: “Due giorni dopo Enrico e Laura firmarono, ritirarono l’assegno e discesero al centro grafico. Una ragazza in camice bianco pennellò loro sulla fronte un liquido dall’odore pungente, li espose alla luce abbagliante di una lampada e stampigliò 5 ad entrambi, verticalmente al di sopra del naso, un giglio stilizzato; poi, sulla fronte di Laura, scrisse in elegante corsivo: ‘Lilywhite, per lei’, e sulla fronte di Enrico, ‘Lilybrown, per lui’”. Alla fine la coppia decide di farsi togliere quella terribile pubblicità scritta in fronte, ma “a dispetto delle assicurazioni della ragazza in camice bianco, la fronte di Laura rimase ruvida e granulosa come per una scottatura: poi, guardando bene, il giglio stilizzato si distingueva ancora, come le scritte del Fascio sui muri di campagna. il loro bambino nacque a termine regolarmente: era robusto e bello, ma inesplicabilmente portava scritto sulla fronte ‘Omogeneizzati Cavicchioli’”.

È successo proprio così, a furia di vendere l’immagine di Firenze, quella scritta sulla fronte si vede, riemerge, rinasce da sola, sempre più prepotente e invadente: proprio come Venezia, Firenze viene da anni umiliata e prostituita da una “classe dirigente” (non solo quella politica) che continua a ripeterci che tanto si tratta di operazioni effimere, che tutto si cancella e si dimentica. Finché non succede che il marchio della carta di credito più esclusiva proiettata sul capolavoro di Brunelleschi sotto il cui loggiato oggi dormono gli esclusi, non ci ricorda bruscamente che abbiamo ancora quella scritta in fronte, e che a cancellarsi è stata invece la nostra anima collettiva. Basta, sì: ma davvero.


Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 17 gennaio 2022. Fotografia di Liliana Grueff.

 

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