Firenze e Venezia: città d’arte e d’Artea

Paola Somma

La calata in Italia di investitori internazionali a caccia di heritage da valorizzare non ha subito rallentamenti durante la pandemia. Al contrario, il fenomeno ha avuto un’accelerazione che viene salutata da molti pubblici amministratori come la conferma della bontà delle scelte a vantaggio degli operatori della filiera turistico/culturale.

Uno dei nuovi conquistatori del nostro patrimonio è la società francese Artea che, cresciuta col business delle energie rinnovabili, ha poi diversificato i rami di attività per specializzarsi in operazioni di sviluppo immobiliare in contesti prestigiosi. Il suo modus operandi consiste nel farsi dare in concessione complessi di proprietà pubblica, di grande valore storico e artistico, situati in location appetibili per una clientela di lusso, per ristrutturarli, metterli a reddito e incassarne i proventi. Non stupisce, quindi, che “volendo rivolgersi all’eccellenza italiana in materia di patrimonio” le prime due prede siano state Firenze e Venezia. In entrambi i casi lo sbarco di Artea è stato accolto con parole riconoscenti dai sindaci Dario Nardella e Luigi Brugnaro i quali, in più occasioni, hanno espresso il comune proposito di intraprendere azioni concrete per far diventare le “loro” città sempre più attraenti per gli investitori.

A Firenze, alla fine del 2020, il consiglio della città metropolitana ha approvato la concessione in uso di valorizzazione e gestione, per cinquant’anni, dell’ex convento di Sant’Orsola. Artea vi realizzerà una scuola di hotellerie internazionale con annessa foresteria, utilizzabile come albergo durante l’estate. Inoltre sono previsti due-tre mila metri quadrati di negozi e ristoranti, atelier d’artista, spazi di coworking, sale convegni, una ludoteca, un museo dedicato a Monnalisa e, al pianterreno, una piazza “pubblica” (utile precisazione!). Il canone annuo per i diciassette mila metri quadrati di Sant’Orsola sarà di centoventicinquemila mila euro (cioè dieci mila euro al mese) mentre a carico dell’amministrazione cittadina restano i lavori, ora in corso, di rifacimento delle facciate e delle coperture. Durante un sopralluogo al cantiere il sindaco Nardella ha ribadito la sua soddisfazione perché “sono giunti gli investitori e questo consentirà di dare futuro a Sant’Orsola e a questa parte del cuore storico della città”.

Circa un anno dopo, nell’ottobre 2021, la giunta comunale di Venezia ha approvato una delibera di indirizzo che riconosce “meritevole di interesse” la richiesta di Artea “azienda di dimostrata solidità finanziaria” di avere in concessione il complesso denominato ex caserma Sanguinetti e quello della vicina ex chiesa di Sant’Anna, per destinarli a formazione, foresteria, coworking, coliving, ristorazione e centro benessere.

Situato a San Pietro di Castello, il primo nucleo abitato del centro storico di Venezia, il compendio Sanguinetti comprende l’antico palazzo patriarcale (qui rimasto fino a quando Napoleone spostò la sede vescovile a San Marco e adibì l’edificio a caserma) il cui fronte affianca la facciata della chiesa, due chiostri, alcuni edifici minori ed un’area non edificata, di oltre cinquemila metri quadrati affacciata sulla laguna. In quest’ultima, alla fine degli anni ’80, il comune aveva previsto la creazione di attrezzature sportive pubbliche e la soprintendenza aveva organizzato una campagna di scavi archeologici che portò alla luce strutture lignee e manufatti databili tra il V e il VI secolo. Ma sia il progetto del comune che le attività di scavo furono sospese, in attesa di idee più spendibili sul mercato. Ora, nei documenti dell’amministrazione e degli investitori l’insieme dei luoghi viene definito in deplorevole stato di degrado e di abbandono.

Artea, il cui direttore Philippe Baudry vuole contribuire “umilmente alla dinamica globale di Venezia… città dove si reca più volte l’anno e con la quale mantiene un rapporto speciale”, intende dare nuova vita a questi “luoghi intrisi di storia” promuovendone “una coscienziosa e rispettosa fruizione e un rilevante utilizzo pubblico/privato, in armonia con il prestigio della città di Venezia e le esigenze del quartiere”. Quindi, “per far rivivere la ricchezza del patrimonio grazie a nuove attività in linea con il mondo di oggi”, i due complessi offriranno servizi di accoglienza, alloggio, ristorazione, intrattenimento, cultura e agricoltura urbana e saranno proposti ad aziende, associazioni, enti locali.

Il programma di quello che Artea chiama un “percorso di recupero e di sviluppo di eccellenze veneziane” è in linea con la missione della società di offrire una gamma completa di servizi di ospitalità “in luoghi stimolanti dove le persone possono incontrarsi, studiare, rilassarsi e coltivarsi”.

Artea riconosce che “il particolare richiamo offerto dalla città di Venezia costituisce il fattore determinante per la scelta di una simile location focalizzata sul business e ne determina la sostenibilità anche in considerazione dell’apporto di utilizzatori turistici”. Non a caso nei rendering dell’intervento viene evidenziata la prossimità del sito con l’Arsenale dove, grazie ai massicci finanziamenti pubblici e alla contestuale rinuncia dell’amministrazione comunale agli spazi di sua pertinenza, la Biennale si appresta ad una ulteriore espansione.

Il sindaco Brugnaro ha definito la proposta di Artea “un grande progetto per portare lavoro e dunque residenzialità”, dimenticando che nella ex caserma Sanguinetti da decenni abitano alcune famiglie, che saranno obbligate ad andare altrove, e che attraverso il chiostro si accede ad uno storico cantiere navale, in piena attività, ma a rischio di sfratto a causa della prevista valorizzazione dell’area.

Questi due elementi hanno provocato la reazione di alcuni abitanti della zona e dei molti cittadini che non intendono continuare a subire la violenza di un’amministrazione che si esibisce in proclami per la casa e il lavoro, ma di fatto opera per cacciare i residenti e le attività economiche superstiti e così liberare i luoghi che interessano agli speculatori. Senza pudore, nella delibera dell’ottobre 2021 la giunta comunale sostiene infatti che Venezia è “il luogo perfetto dove vivere e lavorare, tanto da attrarre scienziati ambientali, economisti, ingegneri e designer, accademici e professionisti, policy maker e imprenditori da tutto il mondo” e che “i luoghi riqualificati si presentano come il contenitore ideale dove tali soggetti… possano incontrarsi a Venezia per lavorare e vivere da nuovi residenti e interpreti della sua vita”.

I cittadini hanno anche denunciato un ulteriore, e non secondario, aspetto della vicenda, cioè il fatto che i beni che il comune intende consegnare ad Artea appartengono tuttora al demanio dello Stato e che, trattandosi di “siti di valore storico – identitario”, le norme del federalismo demaniale culturale prevedono che, per ottenerli, il comune debba emanare un bando aperto ed identificare la migliore proposta per la loro valorizzazione “culturale”.

Secondo i cittadini, il mantenimento/ampliamento della residenza e delle attività economiche che già danno lavoro e reddito, la ripresa delle ricognizioni sul sito archeologico e la destinazione di alcuni spazi per attività sociali di cui il quartiere è stato progressivamente spogliato, sono elementi imprescindibili di qualsiasi progetto di valorizzazione. Per questo hanno organizzato una serie di manifestazioni con l’obiettivo, non solo di bloccare l’iter della concessione e di denunciare l’ambigua posizione del Demanio, che sembra interessato più a regalare i beni culturali pubblici ai privati investitori che a facilitarne “la tutela e la fruizione da parte della collettività” come prescrive il codice dei beni culturali, ma di predisporre una proposta alternativa.

La vicenda è stata anche oggetto di un’interrogazione parlamentare, prima firmataria la senatrice Orietta Vanin, rivolta ai ministri della cultura e dell’economia e delle finanze. Non risulta che il ministro Dario Franceschini abbia risposto. Forse, anche per lui, come per i sindaci di Firenze e Venezia, Arte e Artea pari sono.


Fotografia di Paola Somma.

 

 

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