Tomaso Montanari
La clamorosa destituzione del neosovrintendente dell’archivio centrale dello Stato Andrea De Pasquale dal coordinamento del comitato consultivo per le attività di desecretazione, decisa e annunciata dal presidente del Consiglio Mario Draghi, è una felicissima notizia.
È una vittoria di Paolo Bolognesi, e con lui delle associazioni dei familiari delle vittime delle stragi fasciste, che hanno combattuto con tenacia e straordinaria dignità. È una vittoria della comunità scientifica e intellettuale, che ha continuato a chiedere con forza le dimissioni di De Pasquale. È una vittoria della libera stampa, che non si è fatta intimidire dall’oscena canea fascista suscitata per oscurare la vicenda attraverso la solita strumentalizzazione delle Foibe.
Ma è una vittoria ottenuta a caro prezzo. La presidenza del Consiglio dei ministri toglie non solo alla persona di Andrea De Pasquale, ma all’istituzione della sovrintendenza dell’archivio centrale dello Stato, una funzione cruciale. Ancora una volta, l’organo politico erode la competenza tecnico-scientifica: questa volta lo fa per una giusta causa, ma come useranno i prossimi presidenti del Consiglio (magari di estrema destra) questo ulteriore potere (giacché sappiamo bene che da questi accentramenti non si torna indietro)? E ancora: quale credibilità avrà la Sovrintendenza dell’archivio centrale dopo un simile colpo, inferto così clamorosamente in pubblico? E quale autorevolezza potrà mai avere, in generale, un De Pasquale già senza il titolo di archivista di Stato, e ora ridotto ad anatra zoppa?
E, d’altra parte, quale fiducia possono avere gli studiosi e i cittadini in una istituzione guidata da una figura sulla quale le riserve del capo del governo sono evidentemente così gravi? Se Draghi si è deciso a compiere un atto così irrituale, infatti, le preoccupazioni che in tanti abbiamo esposto sia sulla competenza archivistica, sia sull’imperdonabile “incidente” della celebrazione del Fondo Rauti non solo erano fondate, ma anche cogenti. Ma, allora, può De Pasquale avere la responsabilità di reggere una istituzione la cui delicatezza politica va ben oltre i pur cruciali segreti di Stato relativi alla stagione delle stragi? Davvero la memoria comune degli italiani può stare in mani che hanno così impensierito il pur moderatissimo Mario Draghi?
Non c’è bisogno di dire che spetterebbe al dottor De Pasquale trarre le conseguenze di un così umiliante commissariamento: lasciando spontaneamente l’incarico. Ma il vero responsabile di questo imbarazzante incidente istituzionale è il ministro della Cultura, Dario Franceschini: che ha usato così male la delega conferitagli da Draghi per nominare il sovrintendente, da dover costringere poi lo stesso Draghi a intervenire, e ad amputare un pezzo importante delle competenze dell’organo. Franceschini ha umiliato e danneggiato il ministero che guida: perché oggi la presidenza del Consiglio dei ministri certifica coram populo che i ranghi dei Beni Culturali non sono in grado di reggere in mani sicure l’archivio centrale dello Stato.
C’era modo di evitare una simile figuraccia, e il danno che porta: il ministro avrebbe potuto e dovuto ascoltare i familiari delle vittime, gli studiosi, il suo stesso Consiglio superiore (chi scrive se ne è dimesso proprio per protestare contro la sordità del ministro): che, in coro, gli dicevano di non procedere a quella nomina. Invece, con l’arroganza che è ormai ben nota, ha tirato diritto: andando, come si è capito ieri, platealmente a sbattere insieme a tutta la struttura che gli è stata affidata. Franceschini ha scritto che si assumeva la completa responsabilità di quella nomina: ora che il nominato è stato messo in mora dal capo del suo stesso governo, ci dimostri che è persona di parola, che onora le proprie responsabilità. E si dimetta.
Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 9 settembre 2021. Fotografia di BTO da Flickr.
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