La nomina di Franceschini aiuta il revisionismo di Stato

Tomaso Montanari

Ieri il ministro Franceschini si è assunto la responsabilità della nomina di Andrea De Pasquale alla guida dell’Archivio Centrale dello Stato. Lo ha fatto minimizzando indecentemente l’episodio della santificazione di Pino Rauti, di cui De Pasquale fu responsabile. La reazione delle associazioni delle vittime delle stragi fasciste è stata ferma: “La nomina di De Pasquale è un vulnus intollerabile, una operazione che sembra serva a tranquillizzare quegli apparati che ancora oggi hanno paura della verità. Noi non solo vigileremo ma non ci fermeremo qui”. Se, come spero, impugneranno la nomina, avranno ottimi argomenti per vincere.

Sarebbe importante, perché ormai da anni è in corso un’agguerrita campagna culturale da parte di una destra più o meno apertamente fascista: una battaglia il cui obiettivo è niente meno che un revisionismo di Stato. E cioè la cancellazione della storia che racconta cosa fu davvero il fascismo, e cosa è stato il neofascismo criminale della seconda metà del Novecento. Non si può nascondere che alcune battaglie revisioniste siano state vinte, grazie alla debolezza politica e culturale dei vertici della Repubblica. La legge del 2004 che istituisce la Giornata del Ricordo (delle Foibe) a ridosso e in evidente opposizione a quella della Memoria (della Shoah) rappresenta il più clamoroso successo di questa falsificazione storica.

In una coraggiosa lettera aperta, lo storico Angelo D’Orsi ha accusato il presidente Mattarella di aver fatto “un grave torto alla conoscenza storica” con il “discorso del 10 febbraio (2020, nda) in cui non si è limitato a rendere onore a quelli che, nella narrazione corrente, ormai sono i ‘martiri delle foibe’, ma ha usato ancora un’espressione storicamente errata, politicamente pericolosa, moralmente inaccettabile: ‘pulizia etnica’. Ella, signor Presidente, è caduto nella trappola della equiparazione del grande, spaventoso crimine, il genocidio della Shoah, con gli avvenimenti al Confine Orientale, tra Italia e Jugoslavia, fra il 1941 e il 1948, grosso modo”. Le cose, ha invano spiegato D’Orsi al Capo dello Stato, andarono diversamente: “La storiografia ci dice tutt’altro (…): le vittime accertate, ad oggi, furono poco più di 800 (compresi i militari), parecchie delle quali giustiziate essendosi macchiate di crimini, autentici quanto taciuti, verso le popolazioni locali: nessun generale italiano accusato di crimini di guerra è mai stato punito”.

La falsificazione agisce a tutti i livelli. Così Matteo Salvini prova a rovesciare la storia, sostenendo che il sottosegretario leghista Durigon, invocando il ritorno dell’intitolazione del Parco di Latina a Arnaldo Mussolini, non farebbe altro che difendere una storia ininterrotta fino al provvedimento di “un sindaco di sinistra” che nel 2017 lo dedicò a Falcone e Borsellino. È falso: quel parco cambiò nome (come la stessa città, che si chiamava Littoria…) dopo la Liberazione, e solo nel 1996 un sindaco dichiaratamente fascista recuperò la dedica al fratello del Duce (peraltro senza atti formali, ma solo facendo realizzare alcuni cartelli stradali). Quel sindaco, Ajmone Finestra, non era un “innocuo” nostalgico: per i suoi crimini a Salò il pubblico ministero (che era Oscar Luigi Scalfaro…) chiese la pena di morte. È questa la storia che Durigon difende, e questo l’osceno grumo di neofascismo che Salvini accoglie, e su cui Mario Draghi vergognosamente tace.

Ed è questo il quadro culturale in cui si colloca un De Pasquale che, da direttore della Biblioteca nazionale di Roma, accoglie la donazione del Fondo Rauti con un comunicato che definiva il fascista Pino Rauti “statista”, e “organizzatore, pensatore, studioso, giornalista, deputato dal 1972 al 1992. Tanto attivo e creativo, quanto riflessivo e critico”. Pura propaganda di parte: che negava la ragione stessa per cui quel fondo andava accuratamente studiato, e quindi eventualmente accettato dopo averne messo in chiaro la natura – giacché era evidentemente stato creato con finalità apologetiche che avrebbero dovuto essere sottoposte a serrata critica, e non amplificate sui media.

Quel che la destra vuole ottenere è nientemeno che la negazione radicale del presupposto della nostra Costituzione, la quale è anche “un comando sui vinti”, cioè sui fascisti: dal 1948 in poi, in Italia il fascismo non è in alcun modo equiparabile all’antifascismo, né è un’opzione praticabile per il futuro. È un tabu assoluto: e tale deve rimanere, se vogliamo che la democrazia sopravviva.

Un leghista bolognese ha difeso la nomina di De Pasquale auspicando che faccia emergere dai fondi dell’archivio centrale dello Stato “qualcosa occultato per anni”. Dalla riabilitazione dei “ragazzi di Salò” perpetrata da Luciano Violante alla legge sulle Foibe, dal parco di Latina al sostegno leghista a De Pasquale l’obiettivo è sempre lo stesso: riscrivere la storia dalla parte del fascismo. Sapendo benissimo che l’unico modo per farlo, è falsificarla.


Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 23 agosto 2021. Fotografia da Wikimedia Commons.

 

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