Dolce&Gabbana prendono Firenze. E la cultura chiude

di Tomaso Montanari

La tre giorni di sfilate, cene, fuochi d’artificio con cui Dolce e Gabbana si sono presi Firenze non sarebbe ‘moda’ (e business per chi la vende), ma ‘cultura’.

La migliore risposta a questa sfacciata affermazione dei due stilisti e del sindaco Dario Nardella arriva dall’alto, e da lontano: «Firenze è una città che si spaccia per il mondo con una falsa immagine. Finché Firenze non cambierà questo volto sommerso, non sarà una città trasparente e rimarrà una banconota falsa. Tu arrivi a Chicago o a Toronto e quando dici che vieni da Firenze tutti credono che tu provenga da una vera città di cultura dove la cultura è intesa in senso ampio, umanistico. Non sanno che questa è solo la sua immagine da cartolina edulcorata e di plastica. In realtà questa è una piccola città di provincia un po’ idiota, molto arrogante, che di culturale non produce niente e che anzi spende il denaro in una maniera del tutto sciocca … Quello che mi indigna di più in questo modello culturale è che queste persone, i nostri amministratori, stiano facendo politica. Nessuno li ha obbligati a ricoprire i ruoli che ricoprono, se li sono scelti, non glielo ha ordinato il medico. Stanno amministrando del denaro pubblico e manifestano nei riguardi della cultura un atteggiamento molto volgare. Questo perché la cultura che producono … rivela una volgarità quasi insopportabile, una pacchianeria. Al di là di questo giudizio culturale estetico c’è anche una forte indignazione nei confronti di quelle persone che possono amministrare il denaro pubblico per queste sciocchezze. È probabile che ciò fortifichi la loro immagine, perché nel sistema in cui è strutturato il mondo moderno, quello dei mass media, il fatto che queste manifestazioni riscuotano attenzione in qualche modo li promuove».

Sono parole di un’intervista ad Antonio Tabucchi del 1999: mai attuale quanto oggi. Allora la lucrosa pacchianeria spacciata per cultura era «quella della Biennale moda, con gli occhiali di Elton John in mostra ed altre amenità del genere», oggi è quella di un Salone dei Cinquecento percorso da modelli grottescamente carichi di tutti i simboli fiorentini, dalla corona granducale alla maglia della Viola. Una buffonata che ha comportato la chiusura ai cittadini e ai turisti del Museo di Palazzo Vecchio dal 24 agosto al 5 settembre: alla faccia della cultura!

Solo una petizione popolare ha evitato l’annunciata cena di gala privata in Piazza della Signoria: dopo la famigerata cena Ferrari organizzata da Renzi sindaco a Ponte Vecchio, infatti, i fiorentini sono stufi di veder vendere la propria città per un piatto di lenticchie. Mezzo piatto, nella fattispecie: visto che la tassa per l’occupazione del suolo pubblico di Piazza Signoria (dove è stato allestito un cafonissimo red carpet a forma di giglio) è stata scontata del 50% a un gruppo industriale che fattura 1,3 miliardi di euro l’anno. E la domanda è la solita: davvero Dolce e Gabbana sono al servizio di Firenze, o non è piuttosto vero che l’incomparabile ‘brand’ della città (per usare il linguaggio di lorsignori) è messo al servizio dell’interesse privato? E, dunque, al servizio di chi sono gli amministratori della città? La risposta di Tabucchi, profetica, continua a perforare orecchi e stomaco dei fiorentini che conservano qualche senso di se stessi.

Il titolo della kermesse, del resto, basta a spiegare tutto: «Il Rinascimento e la Rinascita». Brillando per fantasia e originalità, il sindaco e i due stilisti hanno dissotterato per la miliardesima volta la perenta retorica del Rinascimento. Una parola, questa, che andrebbe vietata ai politici fiorentini, che da decenni la usano per coprire l’infinito Rimortimento della loro (e mia) povera città. Stavolta la parola magica è coniugata alla vagheggiata rinascita post-Covid in vista della quale Nardella aveva giurato che tutto sarebbe cambiato: e viene da ridere. Ma, si difende il sindaco, per la kermesse Dolce e Gabbana hanno fatto lavorare 38 artigiani fiorentini. Ora, a parte il fatto che (come si legge nei comunicati ufficiali) gli eventi sono stati «realizzati grazie ai contributi straordinari di Agenzia Ice, Fondazione Cr Firenze, Camera di Commercio di Firenze e Regione Toscana (attraverso Toscana Promozione), con Fondazione Pitti Discovery e il prezioso sostegno di Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron e di Consorzio Cuoio di Toscana» (cioè: con soldi pubblici spesi per fare pubblicità a miliardari privati), si tratta comunque di un evento spot, che non semina e non lascia nulla, se non l’amaro in bocca ad una città ancora una volta usata e gettata via.

Mentre (con un voto che unisce Pd, Italia Viva e Lega) passa al Senato l’emendamento che consentirà di distruggere lo Stadio della Fiorentina, vero capolavoro architettonico; e mentre le periferie della città, tanto amate da Tabucchi, sono sempre più derelitte e sole, i fiorentini sono per l’ennesima volta presi in giro. Dolcemente gabbati.


Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano”, 7 settembre 2020

Fotografia di kirkandmimi da Pixabay