Pisa, il regolamento comunale sui beni comuni urbani mette una pietra tombale sulle istanze sociali della cittadinanza insorgente
C’era una volta, nel 2012, il Movimento per i beni comuni. Nacque sull’onda del referendum per sottrarre l’acqua alle fauci affamate del profitto capitalista, poi, unendosi alle lotte per il “diritto alla città” di lefebvriana memoria, si estese alla radicale rimessa in discussione della gestione dello spazio urbano; nacquero lungo tutto il nostro stivale, da nord a sud, tanti spazi sottratti all’abbandono, al degrado e alla speculazione. Una stagione politica dove si “liberavano” teatri, spazi culturali, ex-fabbriche dicendo che sulla città dovevano decidere le persone che la vivevano e la attraversavano, che non si potevano stravolgere i nostri quartieri a colpi di varianti urbanistiche e svendite del patrimonio pubblico oppure tenendo chiusi immobili e case vuote.
Quel fiume carsico ora pare percorrere rivoli sotterranei, l’exploit è passato ed è stato travolto da tanti sgomberi, tuttavia le ragioni di quelle lotte sono ancora aperte.
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