Evviva! Le Terme di Caracalla non saranno mai un fast food

Tomaso Montanari

Mario Draghi non ha i lunghi capelli biondi di Janie Orlean (Meryl Streep), la mostruosa presidente americana dello strepitoso Don’t Look Up, il film che racconta, attraverso un apologo fin troppo realistico, la nostra umanità lanciata irreffrenabilmente verso il suicidio collettivo, tra pandemia e disastro climatico. Ma le differenze finiscono lì: quel film parla (anche) di questa Italia, dominata da una classe dirigente anziana quanto avida, capace di tradurre in colate di cemento e in fiumi di profitto privato anche un Piano di resilienza e ripartenza scaturito da una catastrofe ambientale, sanitaria e politica. Una classe dirigente che non vede il futuro prossimo di tutti, ma solo l’interesse immediato di pochissimi. E che dunque continua a banchettare sulla nave che ormai sta affondando. Ma se in Don’t Look Up gli eroi positivi (che pure falliscono) sono vistosi scienziati eccentrici, quelli che fra noi provano a fermare la macchina hanno un profilo assai più normale. Donne e uomini che continuano a fare il loro dovere, provando, malgrado tutto, ad applicare le leggi scritte nell’interesse generale. E che, incredibilmente, riescono ancora a vincere qualche partita.

È proprio quel che è successo il 21 dicembre scorso, quando una sentenza del Consiglio di Stato (la 8641 della sesta sezione) ha messo la parola fine a una vicenda che i lettori del Fatto ricorderanno. Una vicenda piccola, certo, rispetto alla grande questione della sopravvivenza del pianeta: ma che svela esattamente la stessa mentalità che – nella realtà come in Don’t Look Up – impedisce di tirare il freno a mano, e cioè la convinzione (ideologica, anzi religiosa) che a salvarci sia sempre e solo il mercato.

Nel 2019 Mc Donald’s provò ad aprire uno dei suoi fast food alle Terme di Caracalla: uno dei santuari di un paesaggio senza tempo in cui storia e natura si abbracciano ancora. Come se davvero non ci fosse un freno alla “crescita” capace di divorare simultaneamente passato e presente. L’allora presidente del I Municipio, Sabrina Alfonsi, ribadì pubblicamente il suo atto di fede nel credo ultra-liberista del suo partito (il Pd…): “Siamo nel libero mercato – disse – un Mc Donald’s vale come un qualsiasi altro ristorante”. Interpretava perfettamente lo spirito dei tempi, e chi poteva (e doveva) dire di no, disse invece di sì: la Soprintendenza si sdraiò e disse che nessun vincolo impediva quello scempio. Ma, proprio nel suo ultimo giorno prima della pensione, l’allora direttore generale dell’archeologia, belle arti e paesaggio Gino Famiglietti avocò a sé il provvedimento, e ritirò l’autorizzazione, perché qualunque intervento in quell’area delicatissima avrebbe dovuto essere sottoposto a una autorizzazione paesaggistica. Le norme, le regole così odiate da sindaci e ministri: quelle che il Pnrr dei Migliori ora travolge con procedure semplificate e soprintendenze speciali. Apriti cielo: Famiglietti fu definito signornò, fuori dal tempo, statalista, nemico dei privati e del mercato… Seguì l’immancabile stagione di ricorsi e appelli, attraverso i quali Mc Donald’s ha provato ad averla vinta.

Ora, finalmente, la sentenza del Consiglio di Stato mette la parola fine: affermando solennemente che Famiglietti aveva ragione, perché la legge impediva di far lì quel fast food; e che il direttore aveva fatto benissimo a fermare il sì di una Soprintendenza ormai piegata alle ragioni del mercato. I magistrati di Palazzo Spada hanno affermato che bisogna sempre tener conto “del particolare atteggiarsi dell’interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati”. Un passaggio che conferma la costante giurisprudenza del sommo organo della nostra giustizia amministrativa, che in una sentenza del 2014 aveva, per esempio, stabilito che il “‘paesaggio’… non va però limitato al significato meramente estetico di ‘bellezza naturale’ ma deve essere considerato come bene ‘primario’ ed ‘assoluto’, in quanto abbraccia l’insieme ‘dei valori inerenti il territorio’ concernenti l’ambiente, l’eco-sistema ed i beni culturali che devono essere tutelati nel loro complesso, e non solamente nei singoli elementi che la compongono. Il paesaggio rappresenta un interesse prevalente rispetto a qualunque altro interesse, pubblico o privato, e deve essere anteposto alle esigenze urbanistico-edilizie”.

La morale è molto chiara: vale la pena di lottare, con tutti i mezzi della nostra legislazione, per opporsi a chi continua a sacrificare i beni comuni sull’altare del mercato. Il Ministero della Cultura non ha sentito il dovere di fare nemmeno mezza riga di comunicato stampa sulla sentenza per Caracalla: come al solito la differenza la fanno i singoli che rimangono fedeli. Che si tratti delle Terme di Caracalla, o della salvezza del pianeta.


Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 3 gennaio 2022. Fotografia Wikimedia Commons.

 

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