Il bibliotecario non c’è o è precario: l’agonia di un servizio pubblico

Leonardo Bison

Da un mese la Biblioteca Nazionale di Napoli ha ridotto gli orari di apertura. Apre dalle 10 alle 15, con ingresso soltanto su prenotazione. Il perché è presto detto: il personale, che contava 250 unità nel 2015, è sceso a 80, ed è destinato a calare ancora. “Avrei bisogno di almeno il doppio delle persone: col tempo la situazione peggiorerà” a causa dei pensionamenti, spiega il direttore Salvatore Buonomo. La Nazionale di Napoli è la terza biblioteca d’Italia, il caso è clamoroso, ma non è certo isolato: il numero di bibliotecari in servizio al ministero della Cultura è arrivato ormai a 310, nel 2016 era di 779.

Anche le Biblioteche Nazionali di Roma e Firenze hanno ridotto gli orari stabilmente dal 2020 e già dal 2017 è noto che a Roma alcuni servizi erano garantiti da “volontari” pagati con il sistema dei rimborsi spese in cambio degli scontrini. C’è chi se la passa peggio: la Biblioteca Universitaria di Pisa, chiusa dal 2012, è destinata, in assenza di interventi, a vedere molti dei suoi fondi spostarsi a Piacenza, anche quelli dell’archivio storico più rilevante, che oggi si trova a Lucca.

Non è un trend privo di eccezioni – a Milano ad esempio le biblioteche civiche hanno aumentato assunzioni e servizi – ma il quadro che emerge dai dati raccolti dall’Istat su 7.425 biblioteche italiane (la prima di questo genere, che comprende tutte le biblioteche tranne quelle universitarie e scolastiche) in riferimento al 2019 non è roseo: solo il 9% delle biblioteche riesce ad aprire per più di 40 ore settimanali, mentre quasi il 65% apre per meno di 30 ore settimanali, la situazione della Nazionale di Napoli.

Aperture ridotte, causate da personale ridotto. Solo il 10% delle biblioteche ha un bibliotecario assunto, mentre il 9% impiega bibliotecari esternalizzati. Il 52% degli istituti, invece, utilizza volontari o stagisti. Incrociando i dati, si evince poi che oltre il 70% delle biblioteche è privo di personale interno di qualsiasi tipo. Si tratta di una situazione che cambia anche radicalmente da regione a regione (in Piemonte il 70% delle biblioteche usa volontari, in Valle d’Aosta invece il 70% ha bibliotecari assunti) e che si rispecchia anche nella qualità e quantità dei servizi.

Rosa Maiello, presidente dell’Aib-associazione Biblioteche Italiane, spiega che la situazione, per la prima volta fotografata con questa precisione dall’Istat per il 2019, con l’inizio dei lockdown è andata a peggiorare: più doveri, più restrizioni, stesso numero (carente) di bibliotecari. “Chi funzionava bene ha reagito prontamente, riuscendo a offrire servizi innovativi, ma si tratta purtroppo di una minoranza: Regioni e amministrazioni locali hanno una rilevanza decisiva nel buon funzionamento del sistema”. In alcune regioni (Sicilia, Puglia, Campania, ma non solo) e in determinate aree e centri (secondo l’indagine, soprattutto quelli tra 30 e 50 mila abitanti) ci sono pochi istituti per bacini d’utenza enormi, senza considerare gli orari d’apertura, che si riducono tra centro e periferia.

Sono le biblioteche più piccole e meno note a soffrire di più, che non hanno ricercatori e studiosi di fama internazionale pronti a prenderne le difese. Biblioteche che non hanno mai riaperto dopo un terremoto o l’ultimo pensionamento. Non esistono dati uniformi riguardo le chiusure. Maiello fa notare che uno dei grossi problemi è l’assenza di un sistema bibliotecario uniforme, in cui poter far confluire tutti i dati di biblioteche statali, civiche, universitarie, ma i dati dell’Iccu, Istituto per catalogo unico delle biblioteche italiane, offrono indicatori preoccupanti: tra 2018 e 2020 registrano quasi 2 mila biblioteche “esistenti” in meno e l’Istat, quando nel 2019 ha svolto la sua indagine partendo proprio dall’anagrafe dell’Iccu, ha ottenuto le risposte da meno di 8 mila biblioteche rispetto alle oltre diecimila censite. Nel 42% dei Comuni, secondo i dati 2019, non c’è nessuna biblioteca. In molti casi, spiega Maiello, biblioteche aperte poche ore a settimana con personale precario o volontario esistono solo in teoria.

Il paradosso è che – a differenza degli archivi, gli altri grandi malati del ministero dei Beni Culturali – le biblioteche stanno vivendo un momento di disponibilità economica notevole: da poche settimane sono arrivati 30 milioni stanziati quest’anno, che seguono i 30 dell’anno scorso, per acquistare nuovi libri. “Una manna” dopo decenni di magra, spiega la presidente AIB.

I nuovi acquisti, però, ricadono sulle spalle di bibliotecari che si trovano così ad avere 4-5 mila euro da spendere subito ma il personale contato, gli orari ridotti, la difficoltà di catalogare con le forze rimaste. A volte l’arrivo di questi fondi ha fatto comprendere alle amministrazioni la necessità di nuovi bibliotecari, ma tutto è stato lasciato alla volontà e disponibilità delle singole realtà.


Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 13 dicembre 2021. Fotografia di Marco Pacini da Wikimedia Commons.

 

 

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