Leonardo Bison
Alice ha trent’anni, accompagna turisti per le calli di Venezia, ha una laurea in storia dell’arte ma si occupa di food-tour: “Non avendo l’abilitazione da guida turistica, l’unico modo per lavorare nel settore è occuparmi di aspetti non strettamente culturali”. Marina, sua coetanea, ha invece il patentino da guida ma nonostante sia nata, viva e lavori a Pompei, l’ha preso in Sardegna, nel 2014: “Era rimasta una delle poche regioni a rilasciare abilitazioni”. La loro storia, con quella di tanti altri, inizia nel 2013, quando salta il sistema che norma in Italia le abilitazioni delle guide e delle altre professioni turistiche, con l’entrata in vigore della legge europea 97/2013. Le norme Ue erano incompatibili con abilitazioni valide sul territorio di una sola regione italiana o addirittura di una sola provincia, che avevano caratterizzato la nostra organizzazione fino a quel punto: ogni Regione abilitava guide turistiche quanto, quando e come voleva.
Le leggi europee si portano però dietro quello che viene considerato un vulnus per l’Italia: chi possiede una qualsiasi abilitazione a guida turistica, presa a Viterbo o in Lituania, può esercitare la professione in tutta l’UE. Ci si sarebbe attesi che il Governo in carica, preso atto dell’impossibilità di proseguire con il sistema precedente, approvasse in fretta e furia nuove regole per le professioni turistiche. Non è andata così. Dal 2013 a oggi, il Ministero del Turismo (Mibact fino al 2021) ha fatto un solo tentativo di riforma a livello nazionale, nel 2016, che istituiva dei luoghi accessibili alle sole guide abilitate in Italia: proposta rapidamente bocciata dal Tar e poi dal Consiglio di Stato nel 2017 per incompatibilità con le normative europee.
In questo lasso di tempo, dal 2013 a oggi, se alcune Regioni – la maggior parte – hanno optato per la sospensione a tempo indeterminato delle abilitazioni (in alcuni casi le ultime risalgono al 2009), altre sono andate avanti come se nulla fosse accaduto, rilasciando patentini validi in tutta Italia e Europa. Ultime in ordine di tempo, la Calabria e la Sicilia, che nel 2018 hanno bandito nuovi concorsi abilitanti: ma sul bando calabrese è arrivata la sentenza del Consiglio di Stato che il 26 agosto 2020 ha sancito il divieto ad abilitare nuove guide turistiche a livello regionale in assenza di una normativa nazionale aggiornata.
Neppure questo è bastato a smuovere le istituzioni, irrigidite da una poca conoscenza del tema e dalle pressioni di parte delle guide turistiche abilitate che chiedono un (irreale) ritorno all’abilitazione territoriale: in più di 15 mesi, nessuna proposta è arrivata dai Ministeri competenti. Una situazione che anche le commissioni europee hanno chiesto di risolvere, tanto che nel Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano, precondizione per ricevere i fondi del Recovery fund, il governo si impegnava a produrre un nuovo ordinamento delle professioni turistiche, “con l’obiettivo di dare, nel rispetto delle competenze regionali, una maggiore uniformità e qualificazione professionale alla categoria”. Due disegni di legge sono in discussione nella decima commissione del Senato dalla primavera: entrambi prevedono esame abilitante, corsi e laurea triennale come requisito, ma una delle due propone di reintrodurre la già bocciata abilitazione territoriale. Dal ministero del Turismo fanno sapere di condividere “gli obiettivi di entrambi gli atti” nonostante le differenze esistenti. Nel frattempo, da agosto, il turismo è ripartito con slancio in tutta la Penisola: tra pensionamenti, cambi di professione e mancate abilitazioni, le guide turistiche sono sempre meno. Ed ecco la strada spianata ad abusi. Proliferano non solo tour organizzati da appassionati non abilitati “in cambio di un’offerta”, ma anche corsi per abilitarsi come guida ambientale e escursionistica e come accompagnatore turistico, figure meno normate a livello europeo, che possono facilmente “mascherare” la professione di guida turistica (gli accompagnatori non possono spiegare i luoghi; le guide ambientali non possono occuparsi di musei, siti archeologici e centri storici).
Non solo: all’estero aumentano i corsi abilitanti pensati proprio per gli italiani, a prezzi italiani. A volte i portali che li promuovono lo dichiarano esplicitamente: “Abilitazione valida anche in Italia”, “become a tourist guide in Italy”. Nel post-covid alcuni corsi, per cifre che si aggirano intorno o oltre il migliaio di euro, si tengono completamente online, e aperti a chiunque paghi: ben lontano da una figura qualificata come quella che tanti aspiranti, spesso laureati in discipline attinenti il settore, chiedono. Il tutto legale, in assenza di una normativa italiana che intervenga.
Nell’anno in cui il turismo sta ripartendo dopo 16 mesi di stop, il Paese è in una impasse ormai decennale, favorevole solo a pochi gruppi di interesse. Di nuovi percorsi formativi e di abilitazione, organici e adeguati alla nuova dimensione europea, nemmeno l’ombra. “L’applicazione della riforma” che aggiornerebbe le norme “permetterebbe di regolamentare i principi fondamentali della professione di standardizzare i livelli di prestazione del servizio su tutto il territorio nazionale, producendo un effetto positivo sul mercato” dice il testo del Pnrr. E dal rinato ministero del Turismo fanno sapere che la linea “è quella di tentare di conseguire tempestivamente l’obiettivo […], collaborando attivamente – come stiamo facendo con la Commissione del Senato per realizzare il più celermente possibile la riforma in questione”. Ma quale riforma, ancora non è chiaro: e senza un cambio di passo, le conseguenze potranno solo essere un aumento del caos e dello sfruttamento.
Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 15 novembre 2021. Fotografia da Max Pixel.
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