Venezia: tornano i turisti, ma i musei rimangono chiusi

Leonardo Bison

Anche questa mattina lunghe code si formeranno all’ingresso di Palazzo Ducale, in Piazza San Marco a Venezia, mentre un nugolo di visitatori ne affolla le sale. Possiamo dirlo con certezza, perché è esattamente quello che sta accadendo da giorni a questa parte. Ma non è, purtroppo, merito di un’improvvisa fame di cultura esplosa tra veneziani e turisti. Non è neppure a causa del Green pass, che pure allunga i tempi di attesa, ma sembra non aver inciso affatto sul flusso di visitatori nel caso veneziano. E non è neppure merito della crescita dei numeri turistici, che pure hanno visto un rimbalzo notevole in questo agosto, pur restando lontani dai numeri del 2019: in assenza di dati ufficiali, si nota che da due settimane a questa parte la città pullula di turisti, con scenari che certo non pareggiano gli agosti pre-pandemia, ma che, considerata anche la mancanza dei turisti asiatici, si assestano su numeri che danno fiducia, ben oltre il 50% dell’occupazione alberghiera (solo in luglio era il 25% negli infrasettimanali).

No, il merito di quell’affollamento è della Fondazione Musei Civici di Venezia, che gestisce Palazzo Ducale così come altri 10 istituti cittadini, e che, dal lunedì al mercoledì, ne tiene chiusi nove, costringendo i tanti turisti tornati in città ad affollarsi nell’area marciana, con Palazzo Ducale e il Museo Correr (quest’ultimo aperto solo per metà). In sette casi sono invece aperti solo dal giovedì alla domenica, per sei o addirittura quattro ore al giorno: sono musei diversi, ma di rilevanza internazionale, come il Museo del Vetro a Murano; il Museo del Merletto a Burano; e ancora il Museo del Settecento Veneziano a Ca’ Rezzonico; il Museo di Storia Naturale; la Galleria internazionale d’arte Moderna a Ca’ Pesaro. E poi c’è la Torre dell’orologio, che apre un’ora al giorno su prenotazione dal giovedì alla domenica, e infine Palazzo Fortuny, che ospitava mostre, chiuso dal 2019.

Era la fine di dicembre quando il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro annunciava che i musei civici (la Fondazione è partecipata al 100% dal Comune) sarebbero rimasti chiusi fino a quando non fossero “tornati i turisti”. Non era vero, ora i turisti ci sono, sono molti, ma gli orari di apertura, rispetto all’estate 2019, sono più che dimezzati. I musei restano chiusi per risanare i conti della Fondazione, o meglio, per rimpinguarli, dato che grazie a quasi 8 milioni di sussidi pubblici ottenuti, e grazie all’utilizzo della cassa integrazione, nonostante il collasso del turismo nel 2020 la Fondazione ha chiuso il bilancio in utile.

Da mesi la situazione si fa ogni giorno più paradossale. Dopo la chiusura totale dei musei fino alla fine di febbraio, col 100% del personale in cassa integrazione, e una parzialissima apertura dei poli principali per far tacere le proteste, il 13 giugno si è tenuta una cerimonia di “riapertura” che in realtà portava alla riapertura solo di tre musei su 11, e solo nel weekend. Poi, da luglio, questa nuova riapertura definitiva, dimezzata. Il tutto per continuare a tenere buona parte del personale in cassa integrazione garantendo così, grazie al sussidio statale, i conti della Fondazione comunale.

Oggi è in cassa integrazione il 40% dei dipendenti diretti, che si occupano di attività interne (uffici, manutenzione, conservazione, catalogazione): era il 50% fino a luglio, mentre sarà il 20% da lunedì fino a dicembre, secondo un nuovo accordo sindacale. Tutte le centinaia di lavoratori “esternalizzati” dei musei veneziani, invece, lavorano solo per una parte delle ore previste dal contratto, e il resto lo passano anche loro in Cig.

Probabilmente nessuno a Venezia, tranne gli albergatori, prevedeva il picco turistico che da circa quindici giorni si è registrato. Ma la Fondazione a gennaio ragionava su una riapertura a Carnevale proprio perché “da quello che ci hanno detto gli albergatori, ci saranno diverse persone che arriveranno in città”. Strano che per questo agosto non fosse giunta notizia.

Le conseguenze non riguardano solo i tanti visitatori che trovano chiusa la porta del museo che avrebbero voluto visitare o sono costretti a una lunga coda per entrare nei pochi aperti. La sospensione di tante attività di manutenzione ordinaria o catalogazione potrebbe lasciare danni di lungo termine; le chiusure potrebbero allontanare ancor più la cittadinanza da luoghi che, è bene sottolinearlo, sono di proprietà comunale; gli archivi e le biblioteche interni ai musei, piccoli ma spesso di grande rilevanza per gli studiosi, sono quasi inaccessibili da un anno e mezzo, aprendo un giorno alla settimana e permettendo l’accesso a pochi utenti al giorno.

I sindacati Cgil e Uil lamentano che, mentre si tagliano i servizi e le ore di lavoro, “il Consiglio di amministrazione mette a disposizione importanti risorse per attività esterne” come il Salone Nautico, anche se “era stato detto che le condizioni di crisi avrebbero indotto a valorizzare il patrimonio esistente evitando consulenze”, mentre il governo si prepara a offrire altri 4 milioni di aiuti. Milioni che ci si augura saranno forniti solo a condizione che la Fondazione si impegni a fornire quei “servizi pubblici essenziali” che il ministro della Cultura Dario Franceschini si affrettò a definire tali per decreto dopo un’assemblea sindacale di due ore al Colosseo: finora, non è stato così. Con buona pace di cittadini e turisti.


Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 18 agosto 2021. Fotografia di Sailko da Wikimedia Commons.

 

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