Vittorio Emiliani, Il confronto fra il post-terremoto del ’97 e quello del 2016 mostra uno Stato indebolito e impotente

Nella zona appenninica compresa fra Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche si verifica un “forte terremoto” all’incirca ogni dieci-quindici anni, purtroppo. E l’intervento dello Stato, invece di migliorare per quantità e qualità, peggiora per quantità e qualità. Il confronto fra gli interventi statali – in specie del Ministero per i Beni Culturali – realizzati nel 1997 in Umbria e Marche (poche vittime, ma danni enormi da Assisi a Foligno, a Tolentino, a Urbino) e quelli dispiegati all’Aquila nel 2009 ed ora fra Amatrice e Norcia nel 2016-2017, il divario negativo emerge in modo drammatico.
L’Aquila segna uno dei punti più bassi col protagonismo del duo Berlusconi-Bertolaso, il netto

predominio della Protezione Civile sulle Soprintendenze, l’assurdo di New Town che erano soltanto ghetti decentrati, ecc. Due episodi esemplari: l’indimenticabile Pippo Basile, regista di tanti post-terremoti e, in particolare, del recupero integrale (in 2 anni e 2 mesi!) della Basilica Superiore di Assisi, che si presenta all’Aquila per offrire il contributo della sua straordinaria competenza e che viene rimandato a casa; il grande strutturista Giorgio Croci (che con Paolo Rocchi) ha messo splendidamente in sicurezza San Francesco ad Assisi, il quale viene chiamato soltanto venti e più giorni dopo il sisma e dotato di fondi che consentono appena di cerchiare le colonne della Basilica aquilana di Collemaggio.
Ad Amatrice però è successo persino di peggio. “Oscurato” il lavoro sporco delle Soprintendenze invise a Renzi, è mancato l’impulso centrale del Ministero. La direttrice generale, ora in pensione, Antonia Pasqua Recchia è sul posto il 28 agosto 2016, ma non ordina subito di puntellare il più alto numero possibile di monumenti e di edifici storici. Così la scossa di ottobre ne atterra tanti e al resto ci pensa la grande neve del gennaio2017. Non solo: chiese, cappelle, palazzi semidiruti non vengono subito coperti dei soliti (ormai) teli di plastica per preservarne i resti. Il salvataggio delle opere d’arte viene effettuato da personale non specializzato (come testimonia drammaticamente l’ex soprintendente umbra Vittoria Garibaldi) e, al momento di ricoverarlo nel grande e attrezzato magazzino di Santo Chiodo presso Spoleto, fatto approntare da Michele Cordaro all’epoca direttore dell’ICR e dallo storico dell’arte umbro Bruno Toscano, si scopre che la Regione Umbria, lungimirante, ci ha depositato negli anni quintali di carte del proprio archivio. Una follia. Bisogna aspettare che sgomberi il tutto.
Il paragone fra gli interventi del 1997 e questi del 2016-17 è avvilente. Come comprova la lettera amarissima dei 138 abitanti di Amatrice più volte riprodotta. Nel ’97 il direttore generale del MiBAC era Mario Serio (di nome e di fatto) che non si fece fermare, e con lui il commissario Antonio Paolucci, dalla burocrazia quando si trattò di trovare le gru più potenti e di fasciare, in una notte, tutta la Basilica di San Francesco e relativo chiostro, utilizzando gru gigantesche e chiamando subito gli strutturisti Croci e Rocchi. Così venne salvato – probabilmente da un disastroso scivolamento a valle – uno dei monumenti italiani più strepitosi. Che poté resistere bene alla forte scossa di qualche giorno più tardi. A Montefalco la splendente abside di Benozzo Gozzoli in San Francesco venne salvata dal sindaco stesso il quale, senza nemmeno aspettare la Soprintendenze, incaricò la coop di restauratori lì presente di puntellare tutto accuratamente, e non si ebbero danni. E anche per le popolazioni si provvide subito, realisticamente,con villaggi di case prefabbricate di tipo siberiano, adatte a sopportare il gelo di Umbria e Marche. Dove vere e proprie città, a cominciare da Foligno, erano state seriamente danneggiate e in tempi ragionevoli recuperate.
Eppure siamo, più o meno, negli stessi territori del sisma del 2016-2017. Evidentemente c’è stato un evidente, grave deterioramento delle strutture dello Stato, un declino impressionante del Ministero che sembra inarrestabile. Una rotta che invece può essere invertita ridando alla tutela il ruolo strategico che essa deve avere e finendola con questa fatua politica delle valorizzazioni, dei privati che corrono al soccorso, mentre le Soprintendenze risultano dissanguate e sconvolte da una “riforma” insensata che accoppia il caos alla paralisi. Come il post-terremoto ha confermato e continua a confermare. Ma ci vogliono investimenti e non campagne promozionali, o futili chiacchiere.

22 Ottobre 2017

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