La caduta delle coturnici o una pessima caduta per la tutela

Giuliana Ericani

Nel 2006 veniva esportato, pare, con il parere di un Ufficio Esportazione dell’allora Ministero per i Beni e le Attività Culturali, oggi MIC, uno dei capolavori del manierismo veneto, La raccolta delle coturnici di Jacopo Bassano. Ci informa della data lo stesso sito del J. Paul Getty Museum di Los Angeles, che nell’ottobre di quest’anno, come abbiamo appreso dalla segnalazione di Lorenzo Barbato di alcuni giorni fa su Facebook e del 21 novembre su AboutArtOnline, pubblicava l’avvenuta inventariazione del dipinto nel patrimonio del museo, con il n. 2021.60.

L’attuale legge di tutela, il Decreto Legislativo n. 42 del 2004 ribadisce, all’art. 68, quanto dal 1939 costituisce uno dei punti fermi per la salvaguardia del patrimonio storico artistico del paese, cioè il fatto che esistono dei principi generali in base ai quali l’esportazione di cose di interesse storico, artistico, archeologico ed etnografico debba considerarsi danno al patrimonio nazionale. L’attestato di libera circolazione per un’opera d’arte viene rilasciato dal Ministero della Cultura attenendosi “a indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero, sentito il competente organo consultivo”. Questi principi, recentemente rivisti, nel 2006 facevano riferimento ad un parere espresso dal Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti – quando ancora il Consiglio Superiore esprimeva pareri fondamentali ma soprattutto vincolanti per la gestione del patrimonio italiano, e lo faceva perché si riferiva all’intero patrimonio della Nazione! – il 10 gennaio 1974, parere fatto proprio dalla circolare ministeriale del 13 maggio di quell’anno diretta a tutti gli Uffici Esportazione d’Italia. Cerco di sintetizzare il parere. I principi per i quali costituisce un danno al patrimonio italiano concedere l’esportazione sono la qualità dell’opera, la sua rarità nel catalogo del suo autore o nell’ambito della scuola al quale l’artista appartiene, il particolare “significato della rappresentazione”, cioè il soggetto e la composizione e la particolarità tecnica. 

La raccolta delle coturnici di Jacopo Bassano risponde a tutti questi principi. Grazie a uno dei manoscritti dei conti della bottega dei Bassano, Il Libro secondo, rinvenuto da Michelangelo Muraro e pubblicato in occasione della grande mostra monografica dedicata all’artista nel 1992, conosciamo esattamente la data nella quale fu eseguito e commissionato. Sappiamo (cc.37v, 38r, p.43), infatti, che il grande dipinto (cm 150 x 235), accuratamente descritto come “l’istoria como vene le cotornice al populo d’Israel”, fu eseguito dal pittore nel 1554 per il nobile veneziano Domenico Priuli, proprietario di terre e mulini nel Bassanese.

La sua storia critica, purtroppo esigua per non essere mai uscito dalle ‘segrete stanze’ della fruizione privata, ha sempre evidenziato la sua eccezionale importanza nel catalogo dell’artista e nella storia del Manierismo veneto e italiano. Roberto Longhi, nello stesso 1948, anno in cui il dipinto approdava nella collezione dell’antiquario fiorentino Vittorio Frascione da quella bergamasca del conte Luigi Mapelli Mozzi, ricorda l’opera come il Miracolo della manna con un linguaggio quasi ermetico per un non addetto ai lavori ma pregnante nei suoi significati: «Anche prima di abbandonare l’acme luministico che regge l’Epulone Platt e il Miracolo della Manna, il Bassano si provò a discernere, entro quelle zone luminose, e con nuova forza lenticolare, nuovi “quanti” misteriosi di minuta realtà, quasi fosse il suo vecchio naturalismo a risorgere ora, in forma microcosmica, molecolare. A ciò probabilmente venivano incontro le furie dell’”empiastrar” schiavonesco e i miracoli di mistura che ormai premevano dal caos apparente della tavolozza di Tiziano vecchio». Longhi colloca il dipinto all’inizio di quel percorso che riporta Bassano dalle eleganze raffinate della Maniera al recupero di brani di realtà che aveva già sperimentato, utilizzando quell’esperienza per dare alla sua pittura una corporeità luminosa che diverrà la sua sigla nei successivi quarant’anni di attività. Questo momento rappresenta un’assoluta rarità nel suo catalogo perché segnato da non più di cinque dipinti, di cui uno solo, L’adorazione dei pastori della Galleria Borghese, è in collezione pubblica italiana. Anche qui le forme sinuose si accompagnano a scelte coloristiche oniriche, rese con una pennellata fluida intrisa di luce. Saranno queste esperienze luministiche e le contestuali ricerche sull’ombra a aprire la strada a opere anticipatrici il grande naturalismo del Seicento, al Velasquez post caravaggesco, com’è stato scritto.

Il soggetto poi è un unicum nella pittura del Cinquecento e rappresenta un alto esempio di come la lezione dell’Antico Testamento costituisca la traduzione artistica di una peculiare attenzione verso la miseria dei poveri da parte di un clero e di intellettuali vicini alla grande esperienza della Riforma cattolica.

Qualità dell’opera, rarità nel catalogo del suo autore, particolare “significato della rappresentazione”, cioè il soggetto e la composizione e particolarità tecnica: i principi che dovrebbero sottendere al diniego all’esportazione ci sono tutti. Perché dunque La raccolta delle coturnici di Jacopo Bassano ha ottenuto l’autorizzazione all’esportazione definitiva, preliminare all’acquisto da parte del P. Getty Museum? Chi l’ha autorizzata? Perché? Domanda alle quali il Ministero della Cultura, tutore del patrimonio culturale italiano deve rispondere.


Immagine digitale per gentile concessione dell’Open Content Program del Getty.

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