Tomaso Montanari
La protagonista della serie tv che la Rai ha dedicato a Leonardo ha candidamente spiegato che ci si è decisi per un clamoroso falso storico perché: «Non potevamo fare una rottura di palle». Una scelta condivisa dal ministro della Cultura: «Gli ascolti hanno premiato un’altra volta la scelta di unire storia, bellezza e Italia. Il successo di Leonardo: un’altra indicazione per la Rai ad investire sempre di più in cultura, cinema, audiovisivo». Non sono d’accordo. Perché quella serie (peraltro noiosissima, e scadente, a prescindere dal massacro storico che mette in atto) è esattamente l’opposto di quello che il servizio pubblico dovrebbe fare. E questo triste fallimento pagato con i soldi di noi tutti è frutto proprio di quella convinzione: che il Leonardo storico, che la sua arte, siano una «rottura di palle» di fronte a cui qualsiasi telenovela di quart’ordine sia preferibile.
Ebbene, non è così. Leonardo non va festeggiato perché è famoso: ma perché è emozionante, travolgente. Perché ha creato immagini più vive e palpitanti di quelle di qualsiasi regista del nostro tempo. Perché quando guardi anche la più irrilevante delle sue opere senti scorrere la vita con una intensità che nessuna fiction di oggi sa darti. Ti senti vivo tu, quando conosci Leonardo. Ed è questo miracolo che la televisione pubblica avrebbe dovuto fare arrivare al più alto numero possibile di italiani: e questo sì che sarebbe stato democratico e popolare, tutto il contrario del rimbecillimento di Stato propinato al popolo.
Prendiamo un disegno, un disegno che non ha un soggetto famoso, anzi un disegno in cui non si vede nemmeno una figura umana. Uno studio di panneggio, un esercizio accademico su una natura morta di stoffe: una «rottura di palle» per eccellenza, direbbero i protagonisti dell’industria culturale.
Mai un panno, mai nessun oggetto, aveva avuto tanta gloria. La luce e l’ombra lo scolpiscono come una specie di sistema montuoso, è un paesaggio infinito che potremmo sorvolare per ore, picchiando nelle sue gole profonde e buie, e poi cabrando fino a reincontrare i raggi del sole.
Percepiamo la forma umana, le gambe di una figura seduta, forse quelle di una Madonna in trono. Ma non ci interessa il soggetto: forse per la prima volta nella storia dell’arte il ‘come’ (lo stile, l’arte, la forza del disegno) sono più importanti del ‘cosa’ (il soggetto). Vibra una vita, in questa stoffa, che non è facile incontrare nei volti della gran parte dei vivi che incontriamo nella nostra vita. C’è qualcosa di magico, quasi di diabolico, in questo artista mago capace di intrappolare per sempre il respiro della vita, il respiro che gonfia questo indimenticabile panno.
Non era forse proprio questo che bisognava provare a raccontare?
Articolo pubblicato su “il venerdì” il 16 aprile 2021. Immagine: Leonardo, Studio di panneggio (fotografia da sito del Museo del Louvre).
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