«La misura è colma». Mobilitazione dello spettacolo in 21 città

Francesco Brusa

Sorpresi, i pochi turisti in piazza del Pantheon girano la testa di scatto. Alla sinistra del famoso tempio romano, situato nel pieno centro della capitale, passa un rumoroso corteo di professionisti e professioniste dello spettacolo, diretto verso Montecitorio. «Mario Draghi, dacce il tavolo / dacce il reddito», scandiscono sulla melodia del successo dei Queen Another One Bites the Dust.

La mobilitazione, che è iniziata alle ore 14 di ieri [n.d.r. 23 febbraio 2021] davanti al Teatro Argentina, è molto chiara rispetto ai propri obiettivi: «Il governo deve concedere un tavolo di trattative interministeriale per risolvere l’emergenza che coinvolge i lavoratori e le lavoratrici del settore culturale».

Si protesta in ventuno città italiane: Trieste, Cosenza, Catania, Bologna, Torino… a Milano viene occupato l’ex-Cinema Arti, a Napoli è bloccata la via che conduce al Teatro Mercadante. A Roma, da largo Argentina il corteo attraversa le strette strade di via dei Cestari e di via della Minerva, si snoda per piazza Capranica fino ad arrivare sotto al Parlamento.

Si susseguono interventi, slogan, urla e balli ma nessuno si affaccia “dalle stanze del potere”. «Oggi ci avete costretto a mettere in gioco i nostri corpi», dicono i e le manifestanti. «Dovete agire subito. La misura è colma».

La mobilitazione è convocata a un anno dal decreto ministeriale che ha imposto la chiusura di cinema, teatri, sale da concerto e luoghi culturali per via dell’emergenza pandemica. In questi dodici mesi, le uniche misure a sostegno di professionisti e professioniste del settore sono state i cosiddetti “ristori”, erogazioni saltuarie di aiuti, mentre nessuna ipotesi di riforma strutturale è stata messa in campo.

Al contrario, pare che il riconfermato Ministro per i Beni e le Attività Culturali Dario Franceschini stia pensando a delle “riaperture”. «Ma è una falsa ripartenza», contestano dal microfono i membri del sindacato Clap-Camere del Lavoro Autonomo e Precario, fra i promotori della giornata. «Si può pensare a tornare al lavoro solo se sono garantiti i diritti e la sicurezza di tutte e tutti».

A Roma i e le manifestanti sono qualche centinaio, ma rappresentano centinaia di migliaia di persone sparse in tutto il paese che – con l’entrata in scena dell’emergenza pandemica – hanno difficoltà a pagare l’affitto, il mutuo, a sostenere insomma le normali spese per sopravvivere.

«Oggi siamo in piazza anche per ricordare Omar», dicono dal microfono riferendosi al quarantunenne imprenditore dello spettacolo che si è suicidato sabato scorso. «Ha scelto di compiere questo gesto estremo perché schiacciato dalle contingenze e abbandonato dallo stato».

Il decreto “Cura Italia” del marzo scorso lasciava infatti escluse varie categorie di professionisti, tra cui appunto impiegati e impiegate dello spettacolo che svolgevano l’attività in maniera intermittente.

«Un anno senza iniziative che per noi corrisponde a un anno senza reddito», precisa Giorgio di Potere al Popolo rivolgendosi alla piazza. «Ma ciò succede perché si continua a far prevalere la logica del “grande evento” sulle ragioni della cultura di prossimità. In questo senso, nessuna fiducia nel governo Draghi: siamo certi che cercherà di mantenere lo status-quo».

Eppure, i e le manifestanti si rimpallano la convinzione che “la normalità è il problema”. Lo si trova scritto sui cartelloni di protesta, detto in mezzo agli interventi dal microfono e urlato negli slogan. E – ricordano – “normalità” significa anche, se non innanzitutto, reiterazione delle stesse modalità e delle stesse nomine politiche.

Lo spiega molto bene alla piazza la sindacalista Fiom Eliana Como, molto attiva e combattiva nell’area bergamasca: «Cambiano i governi, ma Franceschini è sempre lì. Sembra il “re Sole” della cultura privata e mercificata. Anche la sua idea della Netflix della cultura va in questo senso. Fate bene a chiedere la rottura di queste logiche».

È chiaro, però, che il punto della protesta di ieri non è certo quello di proporre altri nomi. Al contrario, la richiesta del tavolo interministeriale vuole sottolineare come i problemi che riguardano lavoratori e lavoratrici dello spettacolo abbiano un carattere strutturale e complesso. La soluzione dunque non può venire da solo Ministero per i Beni e le Attività Culturali ma deve coinvolgere anche il piano del lavoro e dello sviluppo economico.

Una consapevolezza che, a un anno dallo scoppio della pandemia, sembra radicarsi in sempre più lavoratori e lavoratrici dello spettacolo: la giornata di ieri è stata promossa da 25 realtà sindacali e collettivi organizzati, tra cui, oltre al già citato Clap, Emergenza Continua, Adl Cobas e molti altri, ma ben presto ha aderito un totale di 80 sigle diverse. Resta da capire quanto invece si sia radicata presso i funzionari governativi.

Dopo quasi quattro ore di mobilitazione sotto Montecitorio, verso le 19 una delegazione è stata ricevuta dal Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico.


Articolo pubblicato su “Dinamo Press” il 24 febbraio 2021

Fotografia dalla pagina Facebook di Professionisti Spettacolo e Cultura – Emergenza Continua