di Vittorio Emiliani
A Roma, proprio laddove il turismo di massa dava pane e qualcos’altro anche ai locali più improvvisati, la riapertura non marcia, non si avvia. Tanto da indurre il sindaco Virginia Raggi ad un appello a favore della “parte di Roma che sta soffrendo la crisi più profonda”, ad una esortazione ai concittadini di andare in centro, a visitarlo, a frequentarlo, andarci a mangiare, a fare compere. “È il momento della solidarietà”.
Purtroppo non la pensano affatto così i proprietari dei palazzi romani dove negli anni scorsi sono cresciute le attività commerciali e turistiche. Sono in difficoltà, a quanto risulta, pure grandi catene come Zara, figurarsi. Ad un avviatissimo negozio del Corso, ovviamente chiuso da almeno due mesi, sono stati chiesti migliaia di euro senza sconti, o pagare o lasciare. Lo stesso sta capitando in Corso Vittorio stradone di passaggio, decisamente commerciale: riapre subito il peggio, temo. Il meglio resta ancora chiuso. Non ce la fa a riaprire con gli affitti inchiodati su migliaia di euro, 3.000-3.500 come minimo. Lo testimonia chi per i Comitati d Quartiere ha lavorato e lavora, gira, verifica, come Furio Ripanti, uno degli animatori culturali della zona del Fico.
Atteggiamento di chiusura che colpisce i locali “creativi”, di qualità come il delizioso atelier per signore di Angelica, 2.000 euro al mese per pochi metri quadrati, all’angolo di Via degli Orsini, due mesi di chiusura, nessuna bonaria comprensione. C’è anche chi si ingegna – altro brillante atelier in via del Governo Vecchio, in stile francese – a lavorare soltanto on line mantenendo una insegna. Un’altra cosa. In Via dei Banchi Nuovi ha dovuto lasciare la Original Poster Gallery “Guildersten” (manifesti d’epoca, stampe, pubblicità d’autore) e al suo posto è già entrato il solito mini-market di alimentari, sempre deserto. Più avanti ha completato la caduta di gusto e di inventiva l’inesorabile orrendo negozio di souvenirs romani.
Questa crisi del dopo-Covid 19 è tanto più forte perché interviene su una città storica che ha perduto negli ultimi anni altri 10.000 residenti i quali o sono stati espulsi o si sono auto-espulsi per trasformare in alloggi e case di vacanza (spesso abusivi) le loro abitazioni. Su questo convergono una indagine della Caritas e una rilevazione del I Municipio. Un’emorragia così violenta non si verificava più da decenni. Essa spalanca il deserto alle botteghe artigiane, spesso di qualità, a cominciare dai restauratori o dagli antiquari/raccoglitori, sostituiti da Outlet e simili. O da malinconici cartelli “chiusura attività”.
Il problema di fondo di Roma resta quello di riportare residenti, di ogni ceto, nella “città di Nathan” ma soprattutto dentro le Mura Aureliane. Lo si è fatto ai tempi della Giunta Argan fra il 1976 e il 1979 applicando la legge n.167 per l’edilizia economica e popolare a quartieri già costruiti. Per le abitazioni esso riuscì, come ognuno può verificare. Ma ci vuole un’idea di Roma e una ferma volontà politica.
Articolo pubblicato su “la Repubblica – Roma”, 6 giugno 2020
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