Battista Sangineto,I disastri ambientali e le Grandi Opere di Cosenza

Ho scritto tante volte che non è più sopportabile veder morire, come a Lamezia nei giorni scorsi, giovani incolpevoli, non è più sopportabile vedere i paesaggi della nostra regione essere

inghiottiti da fiumi o da fiumare, non è più ammissibile vederli smottare, frantumarsi, franare più o meno rovinosamente ad ogni pioggia, ad ogni insulto meteorologico, anche il più piccolo. Ho già scritto, anche, che nell’ultimo cinquantennio le frane, in Italia, sono state tredici volte, in Calabria sedici volte, più numerose che nell’800, perché non c’è più alcuna cura dei paesaggi, del territorio, delle montagne, delle colline, dei boschi, dei litorali, delle valli, dei fiumi: tutto si sfascia come in una apocalittica metafora del declino di questa regione e della intera nazione.

Ho già scritto che in Calabria (dati ISTAT) è stato consumato il 26% della superficie agricola, solo dal 1990 al 2005. La Calabria è anche la regione italiana che (dati ISTAT) presenta il maggior numero di abitazioni rispetto al numero di abitanti: 1.243.643 alloggi -di cui il 40%, 482.736, vuoti- per meno di 2 milioni di abitanti. Solo nell’area urbana di Cosenza ci sono 1.500 edifici inutilizzati per più di 35.000 vani vuoti, mentre la sua provincia è la seconda in Italia per numero,  ben 15.188, di edifici degradati.

         Salvatore Settis (2017) dice che: la frammentazione territoriale, la violenta e veloce modificazione dei paesaggi urbani, il dilagare delle periferie-sprawl prive di centro innesca patologie individuali e sociali“.  Anche a Cosenza, forse più che altrove, queste patologie, individuali e collettive, sono evidenti a chicchessia. A Cosenza, ma anche in tutta la Calabria, invece di smetterla di consumare il suolo, una smodata smania di costruire nuove architetture e di frammentare i paesaggi sembra aver colto non solo il Sindaco, l’architetto Occhiuto, ma anche il Presidente della Regione, Mario Oliverio.

Tutta questa smania di fatua modernità mentre il Centro storico di Cosenza continua, nonostante i quasi 100 milioni promessi dal Governo precedente, a cadere a pezzi. Mentre il nostro straordinario patrimonio, quello che sarebbe in grado di fornire “coordinate di vita, di comportamento e di memoria, costruisce l’identità individuale e quella, collettiva, delle comunità” (Settis 2017) va in rovina, si spendono decine o centinaia di milioni di euro per introdurre, a forza, nuove architetture o infrastrutture che hanno il solo pregio di disneyficare, omologandola a centinaia di altre nel mondo, la nostra città. Si sono fatti, e si intendono fare, ponti fuori misura e fuori contesto che collegano il nulla con il nulla; edifici pubblici, per decine di milioni di euro, come il “Museo di Alarico”, destinati a rimanere contenitori senza contenuti, poiché non abbiamo neanche un frammento di ceramica riconducibile al re dei Goti; infrastrutture che frammentano e dividono ulteriormente, invece di “rammendare” e di ricucire la città come scrive Renzo Piano, come una pleonastica, per un’area urbana di poco più di 100.000 abitanti, metrotranvia che smembrerà, al costo di ben 160 milioni di euro, il tessuto urbano cosentino.

Al costo esorbitante si aggiunga che tutte queste Grandi Opere – il Planetario, il Ponte di Calatrava, il Parco della Scienza e quello acquatico, l’Ovovia (sic!), il Museo e la metro leggera- sono prive, secondo un documento della Soprintendenza ABAP di Cosenza datato 16 luglio 2018, di autorizzazioni e pareri positivi da parte degli Enti (Provincia, Genio civile e Soprintendenza) preposti alla tutela ed alla salvaguardia del Patrimonio culturale e paesaggistico (D.L. 2004/42), Regione Calabria compresa, in virtù del suo QTRP approvato dal Consiglio Regionale nella seduta del 1 agosto  2016.

Nelle sempre più frequenti occasioni di tragiche esondazioni e allagamenti si piangono i morti e si contano i danni arrecati dai fenomeni atmosferici più o meno violenti, ma non si elabora e non si realizza, mai, un piano per la mitigazione del rischio come, per esempio, l’assoluto divieto di consumare altro suolo con nuove costruzioni, ma lasciando come unica possibilità, incentivandola economicamente,  di ristrutturare quelle già esistenti; mettere in atto urgentissimi interventi di messa in sicurezza dei fiumi e dei torrenti per mezzo di arginature; fare opere idrauliche longitudinali e trasversali, operare il rimboschimento delle aree desertificate dagli incendi, fare la pulizia e la manutenzione dei fossi e dei canali agricoli. Far rispettare il divieto assoluto di costruire a meno di 150-200 metri dagli argini dei fiumi e dei torrenti per evitare di assistere, impotenti, ad altri straripamenti e ad altre terribili ed ingiuste morti come a Lamezia, Rossano, Soverato et cetera. La Giunta Regionale aveva stanziato, nel 2017, 320 milioni per l’attenuazione del rischio idrogeologico e contro l’erosione costiera, ma, ad oggi, non si è dato inizio a nessuno dei 165 interventi previsti.

Presidente Oliverio, perché non comincia con la prevenzione e la mitigazione del rischio proprio da Cosenza? Blocchi la costruzione di tutte le summenzionate inutili, orrende e costosissime Grandi Opere, metro leggera compresa, perché ricadono, tutte, nella fascia di rispetto del più grande fiume della Calabria, il Crati. All’interno di questa fascia proprio una Legge, il Quadro Territoriale Regionale a valenza Paesaggistica, da lei promulgata nel 2016 impone (QTRP, Tomo IV, soprattutto gli artt. 3, 4, 11 e 12) il divieto di edificare entro i 150 metri sia dalla riva destra, sia da quella sinistra (QTRP, Tomo IV, art. 4, 3c) e prescrive, comunque, che tutti gli interventi dovranno essere progettati nel rispetto dei principi e dei metodi applicativi elaborati in materia di ingegneria naturalistica” (QTRP, Tomo IV, art. 12, direttiva d). È evidente a chicchessia che il ponte di Calatrava, il Planetario, il Parco della scienza e quello acquatico, il Museo non rispettano queste direttive di attenuazione del rischio idro-geologico. Vorrei ricordare che, il 24 novembre del 1959, Cosenza subì un tragico straripamento del Crati che provocò notevolissimi danni in città: le acque arrivarono allo Spirito Santo, allagarono Piazza dei Valdesi, il livello dell’acqua superò i due metri in più quartieri, fu spazzato via il mercato del lungofiume e l’allora Hotel Jolly, sulle macerie del quale l’architetto Occhiuto vuole costruire il Museo dedicato al barbaro invasore Alarico, subì gravissimi danni.

Credo che non sia coerente, e decoroso, piangere i morti, invocando lo stato di calamità naturale per i danni subiti, un giorno ed il giorno dopo rimettersi, come se nulla fosse, a cementificare e a cementificare in luoghi idro-geologicamente fragili e paesaggisticamente delicati, come quelli succitati, a ridosso del Centro storico di Cosenza.

 

Il Quotidiano del Mezzogiorno, 9 Novembre 2018

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