Ferruccio Ferruzzi*, La “Scuola del Patrimonio” fra apparenza e realtà

La “Scuola dei beni e delle attività culturali e del turismo” è una fondazione di diritto privato, istituita dapprima con l’art. 67 del d.l.  n. 83/2012 come “Fondazione di studi universitari e di perfezionamento sul turismo”,  col compito di fornire “corsi di formazione superiore e di

formazione continua volti allo sviluppo di competenze imprenditoriali, manageriali e politico-amministrative per il settore turistico”. Dopo il passaggio al Ministero dei beni culturali delle competenze nazionali sul turismo nel 2013 (governo Letta), il ministro Franceschini ha ‘esteso’, con l’art. 5 del d.l. 192/2014, le attività dell’ancora non attivata Fondazione al settore dei beni e delle attività culturali e l’ha ridenominata “Scuola dei beni e delle attivita’ culturali e del turismo”. Alla nuova Scuola è stata assegnata sede nei locali della ex Biblioteca Nazionale, ora della Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, nell’edificio di via del Collegio Romano 27, sede del Ministero dei beni culturali, che non ha finora utilizzato. Alla direzione della fantomatica, ma già ben locupletata con vari milioni di stanziamenti, Scuola è stata posta dal ministro la prof. Maria Luisa Catoni, professore ordinario a tempo pieno dell’università di Lucca (qualcuno ha proposto una specifica spiegazione di tale particolare provenienza), che ha dovuto passare a tempo determinato a seguito delle polemiche che hanno messo capo a una interrogazione parlamentare in merito al duplice incarico.

Nel suo nuovo statuto, all’art. 2, è previsto che la Scuola impartirà un “corso di perfezionamento internazionale denominato “Scuola del Patrimonio”, al fine di sviluppare le competenze necessarie alla direzione di strutture operanti nella tutela, gestione, valorizzazione e promozione dei beni e delle attività culturali”. Chiamare “Scuola del Patrimonio” (con misero scimmiottamento della solida, ufficiale ed efficiente ‘Ècole du Patrimoine’ statale francese, dove gli ammessi entrano nell’amministrazione in esito al corso) un “corso” di perfezionamento per far credere che esista una specifica apposita scuola è certamente un’ingannevole ambiguità, che potrebbe essere ricompresa nella corrente assoluta mancanza di rispetto del senso e della logica istituzionale dei governanti. Ancor più equivoco e ben più grave per i rischi che, come vedremo, comporta è dichiarare missione del corso-Scuola del Patrimonio “sviluppare le competenze necessarie alla direzione di strutture operanti nella tutela…”, lasciando intendere all’ingenuo lettore che il possesso del ‘certificato di alta formazione’ (vedremo perché non è un ‘diploma’) rilasciato alla fine del corso possa essere davvero “necessario” per accedere alla direzione delle strutture “operanti nella tutela” – cioè quelle del Ministero, che nell’attuale ordinamento in cui la tutela è affidata allo Stato sono le uniche ad avere tale compito,  altro fatto a cui lo statuto della Scuola accenna in modo ambiguo e tendenzioso.

La ‘Scuola dei beni e delle attività culturali e del turismo’ ha infine bandito l’8 gennaio scorso una selezione per titoli e colloquio degli allievi del primo corso biennale “Scuola del Patrimonio” 2018-2020. Il corso è articolato in un “modulo comune a tutti gli allievi, della durata di 8 mesi” non meglio specificato quanto ai contenuti e prevede 6 successivi moduli o ‘curricula’ ‘specialistici’ alternativi della durata di 4 mesi (ma che si posano impartire specializzazioni in 4 mesi è lecitamente dubbio), che sono: Tutela del patrimonio culturale; Data management-archivi, basi di dati; Data management- biblioteche, basi di dati; Gestione e organizzazione di musei e Poli museali; Sviluppo territoriale e arte contemporanea; Politiche del turismo, nonché un periodo di “internship” (sic!) della durata di 12 mesi presso ‘soggetti pubblici e privati operanti nei settori del patrimonio culturale o del turismo’. Il bando è riservato a coloro che non abbiano superato il 39° anno di età e abbiano conseguito un titolo accademico di livello superiore (scuola di specializzazione o dottorato di ricerca) nelle “materie attinenti al patrimonio e alle attività culturali e al turismo”. Con singolare norma, gli ammessi sono collocati “nell’ambito del modulo specialistico (curriculum) ritenuto più appropriato dalla Commissione, anche [e non solo] sulla base della preferenza  indicata nella domanda di partecipazione”; in altri termini la Commissione di selezione si riserva di sapere e decidere meglio del candidato a quale indirizzo dovrebbe iscriversi, per cui questi rimane fino a quel momento nell’assoluta incertezza sul suo effettivo destino. C’è solo da sperare che non venga in mente a nessun’autorità pubblica di estendere una simile soluzione autoritativa del problema del numero chiuso alle iscrizioni ai corsi universitari.

Il corso di perfezionamento non dà né preferenzialmente, né tanto meno automaticamente accesso alla qualifica dirigenziale nel Ministero.  Esso non è infatti equiparato da alcuna norma legislativa al “corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore (ora Nazionale) della pubblica amministrazione” che, a mente dell’art. 28 del d.lgs. 165/2001 (Accesso alla qualifica di dirigente della seconda fascia) è, insieme con l’ordinario “concorso indetto dalle singole amministrazioni“, l’unica esclusiva modalità di accesso alla qualifica di dirigente nelle amministrazioni statali. D’altra parte la Scuola ha mantenuto per effetto delle leggi citate la natura giuridica soggettiva di “Fondazione”, cioè di ente di diritto privato (art. 14 e segg. cod. civile) come ribadisce il suo statuto all’art. 1 e quindi per definizione non può come tale né fornire ‘diplomi’ a valore legale pubblico, né bandire in prima persona corsi-concorsi pubblici aventi tale valenza.

Pertanto la Scuola, sia in generale in quanto ente formativo di diritto privato non vincolato alla normativa sulla pubblica istruzione superiore, che in particolare in quanto non è ente investito o delegato da norme speciali a fornire accesso alla p.a., non è obbligata a non porre limiti di età per l’accesso ai suoi corsi privati di formazione, come lo è invece la p.a. dalla l. n. 127/99 (art. 3, co. 6).

Pertanto non sembra che, alla luce delle norma vigenti, colgano esattamente questo punto gli appelli con cui si chiede che il diploma di specializzazione costituisca l’unica prerogativa per l’accesso al Ministero (è infatti il requisito per l’assunzione nei profili professionali dei funzionari tecnico scientifici, mentre può e dovrebbe essere titolo indispensabile per l’accesso alla dirigenza, se il Ministero volesse riconoscerne i ruoli tecnici specializzati, cosa che persiste a non voler fare) e con cui si contesta l’implicita apparente pretesa de bando di fornire un accesso privilegiato alla qualifica di dirigente nelle P.A. che per l’art. 28, comma 1, del d. Lgs. 165/2001può avvenire solo per concorso pubblico o corso-concorso della S. N. A., che però per sua natura forma solo dirigenti amministrativi generici e non specialisti in particolari settori tecnico-scientifici.

Ma l’ambigua e fuorviante dichiarazione del ministro Franceschini di aver creato una scuola di specializzazione del Ministero [cosa che istituzionalmente è del tutto falsa, come emerge da quanto sopra esposto] per la formazione di soprintendenti [del Ministero] e direttori dei musei italiani”, vista alla luce dello stravolgimento delle norme sul reclutamento dei dirigenti statali che lo stesso ministro ha già compiuto a colpi di emendamenti presentati da deputati ‘amici’ a varie leggi che lo hanno autorizzato imperversare con gli pseudo-concorsi per i direttori dei musei autonomi, desta le più gravi preoccupazioni, avanzate nei predetti appelli.

Alle obiezioni che si sono fatte e si devono fare sull’incongruenza e inopportunità della stessa istituzione della Scuola come ente privato col suo ‘corso sul Patrimonio’ (ma anche sul turismo) sostanzialmente scoordinato col sistema della Scuole di alta formazione (per laureati) del Ministero e delle scuole di specializzazione universitarie, alle quali evidentemente si affianca in modo del tutto informale ed ambiguo, va aggiunta la preoccupazione sugli sviluppi deleteri che può  avere la evidente intenzione del ministro di costituirla anche ufficialmente (come per ora non è dal punto di vista giuridico) quale scuola preparatoria di fatto obbligatoria ai ruoli direttivi e dirigenziali nel MiBACT. Tale ruolo potrebbe infatti esserle – del tutto impropriamente – anche formalmente affidato da altre norme legislative ad hoc che il ministro è abilmente e soprattutto tacitamente sempre riuscito ad ottenere, come ha fatto per i direttori dei musei autonomi, magari anche includendovi una deroga alle norme generali per imporre il limite di età di 39 anni per l’accesso al corso. Tutto ciò è purtroppo pericolosamente probabile, in quanto rientra in una ben determina tendenza politica che si è affermata negli ultimi anni per mano del ministro Franceschini, ma che riscuote il consenso di ben più ampi interessi, per cui c’è anche il grave rischio che sopravviva alla sua titolarità del dicastero.

Tale politica consiste nello smantellamento, operato dal ministro con le sue riforme, dell’organizzazione della tutela e della conservazione dei beni culturali per settori specializzati nelle discipline relative ai diversi tipi di beni che il Ministero ha avuto dal 1939 e che il mondo ci invidia per cui gli specialisti (archeologi, storici dell’arte, architetti…) dovrebbero in futuro, man mano che vanno in pensione, essere sostituiti alla guida delle soprintendenze unitarie generaliste da lui create sopprimendo 39 soprintendenze territoriali dai ‘manager della cultura’ usciti dalla Scuola in quanto tali e non più in quanto soprattutto specializzati ed esperti nelle tradizionali discipline scientifiche dei beni culturali, magari poi scelti personalmente dal ministro come i direttori dei musei autonomi, e pertanto ben più grati e docili alle direttive politiche. Costoro dovranno infatti, ben più che alla tutela dei beni culturali, che presuppone la conoscenza delle rispettive discipline specialistiche, dedicarsi a generiche attività di valorizzazione e commercializzazione mediante iniziative mediatiche e concessioni a privati, che maggiormente interessano alla nuova politica.

In tal senso si dovrebbero trasformare appelli e petizioni di contestazione del corso sul Patrimonio in un’avvertenza-diffida ‘politica’ al Ministro Franceschini a non conferire al detto corso alcun valore di abilitazione o requisito esclusivo all’accesso ad incarichi dirigenziali nel MiBACT, che sarebbe, oltre che ingiustificatamente dirompente nei confronti dell’ordinamento pluralistico dell’istruzione superiore e di quello tecnico-scientifico dello stesso Ministero, anche del tutto scorretto ed illegittimo istituzionalmente per le ragioni sopra esposte.

 

 

L’autore è Responsabile Dirigenti UIL-BACT

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