Alessandro Martini, Gam, un museo non si esaurisce con le mostre

Torino, grande apprezzamento per l’esposizione su Guttuso ma con ogni probabilità ed evidenza nessun museo del mondo serio e autorevole oggi sceglierebbe di privarsi della propria biblioteca d’arte

Alla soddisfazione recentemente espressa dall’Amministrazione comunale per l’articolo del Corriere Torino che inserisce la mostra su Renato Guttuso della Gam (7 febbraio-3 giugno) tra le più attese del 2018 corrispondono, sui social media e non solo, le critiche di chi non

apprezza e contesta l’operato recente della Giunta, soprattutto alla luce dell’annunciata riduzione del personale nella Fondazione Torino Musei (di cui il Comune è socio unico) e alla prevista riduzione dell’attività della Biblioteca d’arte della stessa Gam.

 Proviamo a proporre qualche considerazione, di carattere sia generale sia specifico. Una prima,
relativa alla mostra in oggetto (sarà curata dall’ex direttore della stessa Gam, l’ottimo Piergiovanni Castagnoli): probabilmente soltanto qualche anno fa, in un panorama espositivo cittadino più ricco dell’attuale, una mostra su Guttuso alla Gam sarebbe stata, oltre che improbabile, forse anche fuori dal podio delle mostre dell’anno. Ma ciò che preme, in un’ottica più generale, è altro. A fronte dei legittimi orgoglio e soddisfazione per le proposte espositive di un museo pubblico, da annoverarsi tra le attività fondamentali di ogni istituzione museale (soprattutto quando prodotte internamente, grazie alle competenze dello staff museale), è necessario ricordare che un museo, oggi più di ieri, non si esaurisce nelle mostre che allestisce ma è anche e soprattutto un organismo complesso, in cui la ricerca, lo studio, l’approfondimento e la didattica collaborano in maniera inscindibile all’attività conservativa e a quella espositiva. In altre parole, più specifiche e nette: con ogni probabilità ed evidenza nessun museo del mondo, serio e autorevole, oggi sceglierebbe di privarsi della propria biblioteca d’arte.

Nessuno penserebbe di «esternalizzare» la propria storica collezione di volumi e riviste a un ente terzo (sia esso una biblioteca civica, statale o universitaria, come pure è stato ipotizzato). D’altra parte, dell’intimo rapporto tra esposizione e ricerca, tra museo e biblioteca, era ben cosciente già Vittorio Viale, direttore dei musei civici torinesi dal 1930 al 1965 e, soprattutto, straordinario operatore culturale nell’Italia della Ricostruzione e del Boom economico. Fu lui a volere per Torino la nuova Galleria civica. Fu lui a volerla all’interno di un nuovo edificio, appositamente progettato (dagli allora giovani architetti Carlo Bassi e Goffredo Boschetti) e realizzato a seguito delle distruzioni della seconda guerra mondiale e grazie a un grande concorso nazionale, bandito nel 1951. Fu lui, infine, a inaugurarla nel 1959 con spazi per le mostre permanenti e temporanee e, soprattutto, con grandi ambienti per gli archivi, la fototeca, i laboratori di restauro e (appunto) la biblioteca. Accanto a Viale, attivi e legittimamente orgogliosi per l’impegno profuso, erano allora schierati il sindaco democristiano Amedeo Peyron (e, prima di lui, il comunista Domenico Coggiola) e l’assessore comunale all’Istruzione e alle Belle Arti Maria Tettamanzi. E oggi? Sarebbe bello e utile (e forse semplicemente giusto) che l’attuale amministrazione mostrasse, rispetto a questi temi, la medesima consapevolezza, lo stesso impegno e, possibilmente, una capacità di visione altrettanto articolata e lungimirante.

http://torino.corriere.it/cultura/18_gennaio_02/gam-museo-non-si-esaurisce-le-mostre-dd1ccdde-efad-11e7-ae90-7494db7ac3d7.shtml

 

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