I nuovi schiavi del Colosseo

Alessandro Mancini

Siamo stati all’Anfiteatro Flavio e ai Fori imperiali per documentare le condizioni di lavoro di Internal e personale. Risultato? “Violate le norme di base”. Ecco la quinta puntata della nostra indagine.

Con ben 58 siti Unesco, l’Italia è il Paese con il maggior numero di patrimoni dell’umanità al mondo. Fra questi, forse il più amato e iconico di tutti è il Colosseo. Secondo un recente studio di Deloitte, il celebre anfiteatro romano contribuisce per 1,4 miliardi di euro all’anno all’economia italiana.

A livello sociale è stato calcolato che il suo valore è pari addirittura a 77 miliardi di euro. Non a caso, per l’87 per cento delle persone rappresenta l’attrazione culturale più importante del nostro Paese.

Eppure, la gestione di questo “tesoretto” da parte dello Stato continua a essere carente: servizi di bassa qualità, dipendenti sotto organico con intere aree e sale costrette a chiudere per mancanza di personale specializzato e condizioni di lavoro disumane e massacranti, come testimoniato anche dalla nostra inchiesta.

Molte delle denunce arrivate alla redazione provengono proprio dai dipendenti o interinali Ales impiegati nel Parco archeologico del Colosseo. Ho deciso così di andare a vedere con i miei occhi qual è la situazione e le condizioni a cui sono sottoposti i lavoratori nel monumento simbolo della città eterna.

Una visita a ostacoli

I problemi iniziano già dall’acquisto online: il portale non è affatto intuitivo (addetti interni mi riportano di diverse lamentele arrivate dai visitatori) e riuscire a capire cosa comprende l’uno o l’altro ticket, quali categorie sono esenti dal pagamento, quali aree sono aperte o meno e in quali orari, è una vera impresa. Superato il primo ostacolo, mi accingo ad entrare all’Anfiteatro Flavio.

È un torrido sabato di agosto, è primo pomeriggio e fa molto caldo. Il biglietto “Full Experience” che ho acquistato mi permette di visitare, nell’arco di 48h, il Ie Il ordine del Colosseo, la porzione di arena ricostruita sul lato orientale, il Foro Romano e il Palatino e una serie di cosiddetti siti “Super” (la maggior parte, però, chiusi). Dal 2017, infatti, il Parco archeologico del Colosseo è diventato un Istituto autonomo MiBACT che comprende al suo interno l’Anfiteatro Flavio, l’area del Foro Romano e del Palatino, la Domus Aurea sul colle Oppio, l’arco di Costantino e la Meta Sudans nella valle del Colosseo.

Nella nuova definizione di “museo” approvata recentemente da Icom, si legge che questo dovrebbe essere uno spazio «accessibile e inclusivo», ma la realtà è ben lontana dalla teoria: «Noterai il sovraffollamento del sito, che nell’arco delle 11ore diventa quasi ingestibile», mi spiega un dipendente Ales. «In più la direzione si ostina a mantenere un percorso a senso unico dall’inizio della pandemia, che con un tale afflusso di persone contribuisce solo a generare caos e seri problemi di sicurezza. A questo va aggiunta la sporcizia e le condizioni insalubri di alcune postazioni, per via del guano dei piccioni».

Mentre proseguo il mio tour, per lunghi tratti del percorso non incontro alcun vigilante o addetto all’assistenza: sono lasciato solo a vagare all’interno del sito, con tutti I problemi, dalla sicurezza alla salute, che questa situazione può comportare. «Qui è tutto fuori controllo», mi confessa un’interinale Ales. «Se c’è un problema e chiamo una guardia della Cosmopol, questa ci può mettere anche ore ad arrivare». «Siamo tutti in pericolo», aggiunge un altro dipendente, «noi e i turisti: non vengono rispettate le norme di base che dovrebbero permettere la fruizione sicura di un monumento, dai servizi ai percorsi per le persone disabili, dal numero di accessi all’ora alle norme sanitarie, da un piano di evacuazione antincendio fino alle uscite di sicurezza».

In effetti, la sensazione che ho avuto durante la visita è che la gestione sia superficiale e approssimativa e che, in generale, regni ungrande caos. Ne è un esempio l’indicazione con tanto di freccia per la “mostra temporanea” che due inservienti mi spiegano essere vecchia: «Al momento non c’è alcuna mostra temporanea. Si sono dimenticati di togliere la scritta». Uscito dal Colosseo, proseguo il mio tour al Foro Palatino.

Qui noto subito che molti dei siti Super sono chiusi: il Criptoportico Neroniano, l’Aula Isiaca, la Domus Transitoria, la Casa di Livia perché «non rispondenti alle norme sanitarie» anti-Covid, il Museo Palatino e Santa Maria Antiqua, chiusi rispettivamente dal 1° marzo e dal 4 luglio, «per lavori di manutenzione», si legge sul sito. Dopo aver percorso centinaia di metri senza incontrare alcun addetto alla vigilanza, finalmente mi imbatto in una dipendente Ales. Per lei, alcuni di questi siti sarebbero stati chiusi per motivi diversi da quelli ufficiali, ovvero la presenza di un gas tossico, il radon, al quale «noi lavoratori saremmo stati esposti a nostra insaputa per lungo tempo». Una questione da approfondire.

Sugli interinali non ha dubbi: «Sono stati mandati via se chiedevano malattie, ferie o congedo parentale. E la responsabilità, al contrario di quanto sostengono idirigenti, è tutta di Ales, perché è l’azienda utilizzatrice quella che approva ferie e permessi».

«Per il personale Ales dei siti operativi non c’è possibilità di fare carriera interna», mi spiega Mario (nome di fantasia), dipendente dell’azienda, «a differenza di chi lavora negli uffici, che passa facilmente da Supervisor a Responsabile della Gestione Operativa (Rgo) e da Rgo a Responsabile di Commessa, ovviamente il tutto gestito all’interno degli uffici stessi, senza indire bandi pubblici».

Alice (nome di fantasia), ex interinale Ales, mi parla invece delle scarpe antinfortunistiche  fornite  dall’azienda: «Anche quando il numero era sbagliato o le scarpe ci provocavano dolori terribili perché inadatte, ci è stata negata la possibilità di cambiarle perché non prevista per noi interinali».

«Ci sono  stati giorni in cui abbiamo rischiato di svenire dal caldo», mi racconta  Martina (nome di fantasia), dipendente Ales a tempo indeterminato, riferendosi a questa estate torrida. «Alcuni di noi hanno avuto colpi di calore, ma non è stato fatto nulla per rendere la postazione più tollerabile.  Chiaramente questo stile di vita, alla lunga, logora psicologicamente e fisicamente. Non è un caso se molte persone stanno iniziando a manifestare una serie di problemi e patologie legate all’usura che comporta questo lavoro: problemi alla schiena, alle articolazioni, alla circolazione, ma anche attacchi di panico e cistiti a causa delle difficoltà a raggiungere il bagno».

Una dipendente replica all’Ales

«Sono una lavoratrice dipendente di Ales a tempo indeterminato, quindi fra i “privilegiati”, nel ruolo di addetta all’assistenza al pubblico e vigilanza. Vorrei rispondere punto per punto a quanto affermato dai Sig.ri De Simoni e Iannelli», ci scrive Maria (nome di fantasia). «Sig.re De Simoni, come può dire, riguardo agli interinali: “È probabile che siano state messe in atto modalità di lavoro diverse da quelle che noi adottiamo per i nostri dipendenti”? È vero, loro non sono direttamente vostri dipendenti, ma le modalità di lavoro, guarda caso, sono le stesse dei dipendenti Ales, se non peggiori. Sig.re Iannelli, quando afferma “Ci rendiamo conto che un turno da 11ore è lungo e pesante”, non sapete cosa state dicendo.

La invito a farsi un giro tra ivari siti Ales per avere un’idea delle nostre condizioni di lavoro: la sfido a farsi 11 ore di lavoro in piedi, sotto il sole cocente in estate, con la pioggia e il freddo in inverno, sempre sotto organico, dovendo gestire decine di migliaia di visitatori al giorno, con bagni troppo lontani dalle postazioni di lavoro e con l’assenza, per determinate aree archeologiche, di locali adatti al consumo del pasto e al riposo della pausa.

Si renderà poi conto che gli interinali vengono spesso spostati, senza preavviso e in base alle necessità, nei diversi siti da una parte all’altra della città.

Per non parlare dei doppi-tripli turni: a volte agli interinali è gentilmente imposto (se ti rifiuti c’è sempre il rischio della black list) di lavorare per 2 o anche 3 giorni di fila, 11ore al giorno, per far quadrare calcoli astrusi in base alla turnazione e alla carenza di personale.

Quando lei, signor Iannelli, afferma: “Il turno da 11ore permette ai lavoratori di alternare un giorno al lavoro e un giorno a casa”, non sta dicendo nulla di eccezionale. L’alternanza, in realtà, è una prerogativa del turno da 11ore. Non ci state facendo un favore.

I motivi dietro questa scelta sono anche facilmente intuibili: la schematicità, la prevedibilità e la ripetibilità all’infinito, oltre, come ha detto Lei, “[…] a rappresentare un risparmio per le casse del ministero”. A rimetterci, però, è la nostra salute e la qualità del servizio offerto ai visitatori.

La cosa più grave è che le agenzie interinali non sanno niente di tutto ciò o se ne lavano le mani: loro forniscono solo il lavoratore, poi è Ales che decide come sfruttarlo. “[…] Si stratta quasi sempre di esperienze limitate nel tempo, i contratti sono molto brevi”, dichiara quasi con orgoglio. Sostenere che i contratti sono molto brevi, vuol dire però ammettere che sfruttate le persone per poi mandarla a casa dopo poco tempo, senza prospettive durature. E anche in questo caso, mi duole dirlo, sta men­ tendo: esiste un solo turno di lavoro per tutti i lavoratori Ales, quello da 11 ore, e I contratti non sono affatto brevi, come sostiene Lei, perché nell’arco di circa 24 mesi alla fine tutti, tranne chi trova qualcosa di meglio, passano dal determinato all’indeterminato. Per quanto riguarda la pausa pranzo da 15 minuti, anche se fosse stata concordata con i sindacati, resta una decisione assurda e disumana.

Rispetto invece al drastico calo del numero di lavoratori iscritti al sindacato negli ultimi 10 anni, mi chiederei innanzitutto il perché. Uno dei motivi potrebbe essere, ad esempio, la paura (motivata) di subire una serie di ritorsioni da parte di Ales. Mi ricordo in passato di Rgo (Responsabili Gestione Operativa) che cercavano di dissuaderci dall’aderire ad alcune sigle sindacali con motivazioni discutibili. Detto ciò, so che il sindacato Usb è costantemente in contatto con i dirigenti Ales per far presente le necessità e le richieste dei lavoratori: dunque, perché non iniziate ad ascoltarle?

Infine, e questo è molto grave secondo me, avete provato a spostare completamente il focus. Affermate che “Il nostro sistema continua a sfornare un numero troppo alto di laureati in materie umanistiche, pur sapendo che non c’è sbocco lavorativo”, ma noi questo lo sappiamo benissimo. Ales potrebbe però impiegare meglio le sue risorse prendendo in considerazione, per esempio, l’idea di farci gestire anche la didattica nei monumenti in cui lavoriamo. Ma questo discorso ci porta completamente (e volutamente) fuori strada.

Il vero problema è che non veniamo messi in condizione di svolgere il nostro lavoro in modo sicuro e sereno. Non potete ricattare e fare terrorismo psicologico ai lavoratori con la scusa che non esistono alternative migliori. Pretendete da noi estrema serietà e professionalità quando siete voi, per primi, a non esserlo».


Articolo pubblicato su “TPI” il 16 settembre 2022. Fotografia da Wikimedia Commons.

 

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