La commode. Una storia italiana

Il 26 maggio esce un nuovo libro della collana Antipatrimonio diretta da Maria Pia Guermandi e Tomaso Montanari: La commode. Una storia italiana di Gino Famiglietti, introduzione di Tomaso Montanari, postfazioni di Micaela Procaccia e Diana Toccafondi (ed. Castelvecchi, 204 pp. con appendice documentaria digitale).

Intorno a una commode di eccezionale bellezza, commissionata dal re di Francia Luigi XV, si combatte una guerra più che ventennale e senza esclusione di colpi. Sottoposto a vincolo, conteso fra l’Italia e la Francia, un capolavoro unico al mondo finisce al centro di una disputa che coinvolge addirittura l’interpretazione dell’articolo 9 della Costituzione. Un gioco delle parti, una pièce da commedia dell’arte, in cui l’autore riesce ad aprire varchi verso il disvelamento finale. In un succedersi di scelte difformi, valutazioni ondivaghe, avanzate e ritirate degli uffici preposti alla tutela del patrimonio culturale, l’unica coerenza che sembra di scorgere è il desiderio di taluni – fortunatamente non tutti – di compiacere l’autorità politica di turno.

«L’appassionata cronaca di questo libro è insieme una circostanziata denuncia del male, e un atto di speranza in una possibile guarigione. Che, come è noto, passa prima per una diagnosi schietta, e poi per una terapia adeguata. […] se fosse stato consentito a Gino Famiglietti di fare il suo lavoro (attuare il secondo comma dell’articolo 9 della Costituzione), avremmo tutelato un pezzo importante del nostro patrimonio culturale, e un principio cardine della nostra civiltà giuridica. Invece, li abbiamo compromessi entrambi. È proprio per questo che quella della commode è importante: perché è una storia piccola che permette di raccontarne una grande, che è quella dello smantellamento della tutela del patrimonio culturale italiano attraverso la sottomissione dei saperi tecnici alla volontà politica: come chiariscono assai bene i densi scritti di Micaela Procaccia e Diana Toccafondi posti al termine di questo libro».
(dall’Introduzione di Tomaso Montanari)

«Il tema della non appartenenza del bene al contesto nazionale è diventato un grimaldello per le peggiori forzature alle quali ci si può opporre solo con lo studio tecnico approfondito del caso specifico e con la maniacale attenzione alle procedure. E se gli avvocati di parte avversa, che fanno, come è ovvio, il loro mestiere, stanno attenti (ma non sempre) alle seconde, le loro memorie sono molto spesso assai carenti proprio sul piano scientifico ed è su questo terreno che bisognerebbe attrezzarsi a rispondere. Anche gli “eminenti studiosi” sono talvolta superficiali e parziali: chi lavora nel Ministero non può permettersi di esserlo».
(da Il sugo di tutta la storia, postfazione di Micaela Procaccia)

«Dalla lettura del libro non se ne esce certo consolati. Se ne esce però più consapevoli, oltre che – e questo riguarda in particolare chi volesse intraprendere l’affascinante e impervio lavoro della tutela – più istruiti nei “ferri del mestiere” e soprattutto più motivati ad assolvere al compito in scienza e coscienza. Nonostante alcuni meritori tentativi di resistenza, la vicenda si conclude amaramente, non solo perché alla fine si scoprirà che per qualcuno, evidentemente, “Parigi val bene un comò” (anche se qui non c’è alcuna conquista, anzi…), ma soprattutto per il modo in cui ciò avviene».
(da Tre civette sul comò, postfazione di Diana Toccafondi)

Gino Famiglietti è stato, presso il MIBACT, vicecapo dell’Ufficio legislativo, direttore regionale in Lombardia e Molise, direttore generale per l’Archeologia, gli Archivi e infine per l’Archeologia, le Belle arti e il Paesaggio. Ha collaborato alla stesura della legge Galasso e del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Premio “Umberto Zanotti Bianco” di Italia Nostra nel 2011. Nella stessa collana Castelvecchi ha pubblicato Il codice Maimonide (scritto con Micaela Procaccia, 2021).


 

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