Alessandro Monti
Una storia lunga e tormentata, quella di Palazzo Ardinghelli riaperto al pubblico, dallo scorso maggio, per ospitare la mostra: Punto di equilibrio. Pensiero spazio luce da Toyo Ito a Ettore Spalletti e il festival Performative, curati dal Maxxi L’Aquila. Una storia nella quale si innestano talune incongruenze della gestione ministeriale del patrimonio culturale dello Stato nelle aree terremotate. Una gestione orientata più a favorire le manifestazioni effimere, la spettacolarizzazione di eventi ed esposizioni temporanee, che non a tutelare e rafforzare le strutture museali esistenti e le loro collezioni permanenti dando spazio alla tradizione artistica delle comunità locali e alle loro capacità creative tanto più necessarie nei processi di rigenerazione urbana delle aree terremotate. Vediamo di che si tratta.
Distrutto dal terremoto del 1703 e ricostruito nel 1743, dimora nobiliare poi adibita ad appartamenti e a uffici della Pretura, l’elegante palazzo tardo barocco aquilano è stato acquistato nel 2006 dal Ministero dei beni culturali per fronteggiare le esigenze funzionali dei suoi organi periferici. Danneggiato dal terremoto del 6 aprile 2009 e sottoposto dal 2014 a complessi lavori di restauro finanziati dalla Federazione Russa, Palazzo Ardinghelli, nel 2018 è stato concesso dal Ministro Franceschini in uso gratuito per 20 anni alla Fondazione Maxxi per farne un Centro di arti e creatività contemporanea con una dote di due milioni di euro annui.
La scelta politica – assunta senza aver consultato la cittadinanza – di consegnare uno dei pochi edifici pubblici ricostruiti nel centro storico (l’antistante chiesa di Santa Maria Paganica, la più antica della città, è tuttora puntellata) all’ente privatistico che a Roma gestisce il Museo delle Arti del XXI Secolo rinunciando ad alleggerire le precarietà logistiche istituzionali locali, ha spinto cittadini, artisti e associazioni culturali aquilane a chiedere nel maggio 2019 all’allora Ministro Bonisoli di destinare il palazzo al Museo nazionale d’Abruzzo. L’intento era di riesporre le oltre 270 opere della notevole Sezione di arte di arte moderna e contemporanea dal 2009 a rischio di degrado in vari depositi. Una soluzione ritenuta più in linea con la tradizione di una città che è sempre stata all’avanguardia nella creatività e nella valorizzazione delle arti visive e tuttora possiede adeguate capacità professionali per promuoverle.
Sostenuto da critici e storici dell’arte, curatori e direttori di musei, docenti universitari e accademici, esponenti di società civile e volontariato anche di altre città italiane, l’appello al Ministro è restato finora senza esito. Così, Direzione regionale Mic Abruzzo e Soprintendenza restano in edifici privati per il cui uso lo Stato versa un canone di locazione; mentre il Museo nazionale d’Abruzzo – evacuato dalla sede inagibile del Castello Spagnolo in attesa del completamento dei lunghi lavori di restauro – resta ospite negli umidi locali dell’ex mattatoio comunale e può esporre al pubblico appena il 10% delle sue collezioni, svolgendo solo in minima parte il servizio pubblico assegnato.
È augurabile che Franceschini, tornato alla guida del Ministero, prenda in considerazione l’ipotesi ragionevole di promuovere, in linea con le direttive del sistema museale nazionale, un accordo di partenariato tra Maxxi e Museo nazionale d’Abruzzo, per condividere gli spazi del Palazzo (1700 mq). Si potrebbero così restituire al pubblico e agli studiosi l’accesso almeno alle opere di arte moderna e contemporanea di autori molti dei quali presenti nei più grandi musei italiani e stranieri.
Merita ricordare che si tratta di opere in grado di far rivivere atmosfere, paesaggi, figure di un mondo abruzzese ormai scomparso, colte da celebri artisti attivi tra fine Ottocento e inizi Novecento (in prima fila Francesco Paolo Michetti, Basilio Cascella, Pasquale Celommi e Teofilo Patini che aveva il suo atelier proprio a Palazzo Ardinghelli). Della raccolta fanno parte anche opere di esponenti di spicco della Scuola romana (Guttuso. Mafai, Pirandello, Maccari, Capogrossi, Omiccioli…) e riconosciuti maestri del colore (Saetti, Menzio, Borra, Guzzi, Paulucci…) che, insieme alle corpose collezioni di Remo Brindisi, Emilio Greco e Federico Spoltore, si intrecciano con i lavori dei numerosi pittori e scultori contemporanei.
La ritrovata visibilità delle opere del Museo nazionale d’Abruzzo che rappresentano tratti essenziali dell’identità culturale della città e dell’intera regione, da esporre anche a rotazione (è disponibile un progetto di allestimento virtuale dei tre saloni del piano nobile con un primo gruppo di 99 opere), insieme a quelle provenienti dalle collezioni romane del Maxxi, comporrebbe un’offerta museale più variegata e accattivante. Se accompagnata da iniziative per studiarla e farla conoscere, coinvolgendo anche le associazioni culturali aquilane operanti da tempo nel campo delle arti visive contemporanee, come Angelus Novus, Museo Sperimentale di Arte Contemporanea, Museo dei bambini, un’operazione come questa potrebbe accrescere l’attrattività del Palazzo quale luogo di incontro e di riaggregazione civica contribuendo a rianimare un centro storico tuttora in gran parte disabitato.
Articolo pubblicato su “La Stampa” l’11 novembre 2021. Fotografia di Lasacrasillaba da Wikimedia Commons.
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