Campania. La Regione arretra sull’urbanistica

Alessandro Dal Piaz

La giunta regionale della Campania – com’è noto – ha dovuto subire nella precedente consiliatura la mancata approvazione del disegno di legge in materia di governo del territorio per effetto della forte opposizione di esperti e associazioni culturali e ambientaliste che accusavano il ddl di indebolire i poteri pubblici a vantaggio delle rendite immobiliari e di alimentare gravi ambiguità sul tema cruciale del contrasto al consumo di suolo. Ora la giunta sembra tentare altre strade. Così il 23 marzo scorso, con una banale circolare ai Comuni di chiarimenti sulle scadenze per la formazione dei piani urbanistici comunali (Puc), si dà per valido un pezzo della proposta accantonata che, fra l’altro, cancella un contenuto essenziale della vigente legge “Di Lello-Bassolino”.

Procediamo con ordine. Le norme in vigore stabiliscono che i piani, in particolare i Puc «si compongono del piano strutturale, a tempo indeterminato, e del piano programmatico, a termine, come previsto all’articolo 3 della legge regionale n.16/2004». In parole povere, il Puc comprende obbligatoriamente le due articolazioni, la strutturale e la programmatica.

Questo modello di pianificazione – come ho più volte argomentato – affida al piano strutturale sia l’individuazione e la disciplina dei territori da sottrarre alle trasformazioni insediative per la presenza di elevati rischi idrogeologici o di importanti valori storico-culturali, paesaggistici, naturalistici, pedologici, agronomici, sia la dichiarazione di trasformabilità solo per quelli fra gli ambiti residui, sicuri e privi di valori, che siano già in tutto o in parte urbanizzati.

A sua volta il piano programmatico-operativo, valido per non più di un quinquennio, seleziona nei soli ambiti trasformabili gli interventi edificatorio-urbanizzativi da realizzare, valutandoli – fra quelli proposti dai privati – in rapporto alla coerenza con le scelte strategiche comunali sottese ai bilanci pluriennali, alla quantità e qualità dei vantaggi offerti alla collettività e alle prevedibili sinergie reciproche.

La circolare del 23 marzo 2021, inaspettatamente, informa invece i Comuni che possono liberamente dotarsi del solo piano strutturale, rinviando a un indefinito futuro il piano programmatico-operativo, o anche rinunciandovi del tutto. A parte l’evidente conflitto con il testo normativo su riportato, cosa comporterebbe questa “innovazione”?

Esaminiamo il caso di un Puc costituito dal solo piano strutturale. Esso recepirà, ovviamente, tutti i vincoli dei piani sovraordinati (piano di bacino, paesistico, del Parco naturalistico etc.) e poi individuerà gli ambiti trasformabili, per i quali dovrà definire le regole da rispettare nelle trasformazioni edilizie ammissibili. E magari individuerà qualche intervento pubblico: una strada, un asilo, un giardinetto; ma se poi mancheranno i fondi, quelle localizzazioni dopo 5 anni decadranno e l’intero piano strutturale, che doveva valere a tempo indeterminato, sarà pregiudicato.

E anche sotto il profilo generale dell’attuazione, le cose non andranno bene perché gli interventi privati consentiti verranno attivati da ciascun proprietario secondo la totale casualità dei propri tempi, delle proprie convenienze e delle proprie finalità. E il Comune non potrà svolgere né selezioni di priorità né coordinamenti per la ricerca di sinergie secondo una visione strategica unitaria. Esattamente come accadeva con il vecchio Prg della legge del 1942.

In conclusione, con una semplice circolare, si introduce in Campania una “innovazione” pesantemente retrograda, e comunque in formale violazione della legge e del regolamento vigenti. Ancora una volta una pretesa semplificazione, che dimostra invece la volontà di questa giunta regionale di indebolire le istanze pubbliche nel governo pianificato del territorio e di aumentare i margini di discrezionalità a vantaggio degli interessi speculativi privati.


Articolo pubblicato su “la Repubblica – Napoli” il 27 aprile 2021. Fotografia di Francesco Palermo da Pixabay.

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