Bonaccini & Co.: foreste e boschi le loro vittime

Vittorio Emiliani

“Rimbombando là sovra San Benedetto / de l’alpe per cadere ad una scesa”. Così Dante celebrava l’imponente cascata detta per contrasto dell’Acquacheta fra Forlì e Firenze. Luogo fra i tanti magico che tale non è parso al governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini che, avuti dall’ente Parco Nazionale Foreste Casentinesi, dalla Soprintendenza, dallo Stato solo pareri negativi, ha deciso di suo di istallarvi un robusto parco eolico. Che soltanto con strade e carrarecce scasserà quell’intatto Appennino dantesco.

Sul litorale laziale (Parco del Litorale) non hanno neppure chiesto permessi: hanno tagliato un bel po’ di alberi e buonasera. Questa è la considerazione in cui gli Italiani tengono il loro verde, che nonostante tutto è cresciuto verso gli 11 milioni di ettari. Tenendo conto del verde precario, stento, cresciuto sui terreni collinari e montani abbandonati dai contadini scesi in città o emigrati verso vite meno sacrificate. Le bonifiche moderne, poi, hanno pelato le pianure svellendo le siepi (utilissimo rifugio ed essenziale sostentamento per le api, che infatti sono molto diminuite) e i filari di gelsi (addio bachi da seta che avrebbero tuttora mercato).

La Pianura padana era tutta una foresta nordica di querceti, dalle sorgenti del Po alla sua foce. La pineta di Ravenna è una grandiosa “piantata” romana con scopi militari: a Classe, con quel legno che in acqua diveniva durissimo, si costruivano le triremi da guerra per il Nord, mentre la flotta del Sud era alla fonda a Capo Miseno. Le pinete litoranee di Ravenna e di Cervia sono state salvate a stento, le prime nel 1905 con la prima legge statale di tutela in materia. Ma la erosione delle spiagge le minaccia con tempeste di sabbia e di salmastro.

Ora il governatore Bonaccini lancia un piano di rimboschimento per alcuni miliardi, ma non saranno le foreste urbane che gli scienziati e anche i virologi auspicano per combattere i virus che prosperano nello smog più pesante. Nel contempo sfregia con le pale eoliche gli intatti parchi del Casentinese.

Il Lazio ha censito il patrimonio di alberi antichi e pregiati della Provincia (quando c’era) di Roma, catalogando oltre 600 essenze, l’intera faggeta dei Lucretili ad esempio. Ma per istituire il Parco Regionale dei Simbruini sopra Subiaco in quel consiglio comunale venimmo fisicamente aggrediti dai sindaci al grido; “Voialtri sete amici der lupo non dell’omo!”. I rimboschimenti vanno studiati scientificamente. Ricordate la stesa impressionante di abeti rossi anni fa in Val di Fiemme? Gli abeti rossi erano inadatti a quel clima avendo radici molto deboli e superficiali.

E lo stupendo vario colorato “bosco italico” tipico dell’appennino dai pini loricati di Calabria ai giganteschi platani bolognesi (dentro a uno hanno ricavato un posto di ristoro), ai faggi del Modenese? Tutto dimenticato in nome della fretta, snaturando però un paesaggio unico al mondo perché nordico e mediterraneo insieme. C’è una specie antica di pera che si trova in Calabria chiamata Pera del Paradiso e in Romagna dove diventa Pera degli Angeli.

Con tutti i nostri difetti e limiti siamo diventati, dopo la Spagna, il Paese che ha più boschi sommando pure boscaglie spontanee e deboli. Di quegli 11 milioni di ettari, 4 vengono dalle aree protette con la legge n. 493 Ceruti- Cederna del 1991 che si è tentato più volte di stravolgere, da ultimo “aprendola” alle corporazioni interessate come i cavatori e i petrolieri in cambio di royalties. Cose da pazzi. Ma i parchi, tutti i parchi, sono già di per sé “redditizi” perché, oltre a concorrere poderosamente al tempo libero degli italiani, assicurano un’aria più pulita.

Dopo la discutibile abolizione a metà delle Province, cosa sta accadendo nei loro Parchi? Cose gravi, perché è venuta meno una tutela stringente, diretta. Da tutta Italia, Giorgio Boscagli, già direttore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, diffonde notizie di abbattimenti inconsulti, di tagli radicali in luogo di cure fitosanitarie tempestive. Un panorama desolante di incuria, incultura, ignoranza ambientale.

Nella fascia soprattutto appenninica al di sotto dei 700 metri di altitudine, ecco comparire castagneti che per secoli e secoli sono stati l’alimento essenziale dei montanari: le stesse “trofie” liguri da mangiare col pesto sono di farina di castagne e mille altre ricette salate e dolci. Il grande storico dell’arte Roberto Longhi sosteneva che non c’era più grande pittura sopra la linea dei castagni. Ne abbiamo di antichi e sontuosi come il castagneto dei Cento Cavalli sopra Catania o come il castagneto di Vallerana nel Viterbese. Purtroppo abbiamo importato dalla Cina un verme molto insidioso dovendo già lottare con la Cydia Splendanascoperta nel 700.

Insomma, siamo fra i primi per boschi e foreste, ma li maltrattiamo. Se vogliamo “foreste” per la salute collettiva, dobbiamo impegnarci molto di più.


Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 2 aprile 2021. Fotografia di Gianni Careddu da Wikimedia Commons.