di Tomaso Montanari
Il presidente del Consiglio che alla fine di giugno chiede altro tempo per capire come riaprire le aule tra due mesi è il simbolo dell’8 settembre della scuola italiana. Sia chiaro: la scuola pubblica collassa sotto il peso di decenni di malgoverno. Tagli selvaggi, organici drammaticamente insufficienti, aziendalizzazione, precariato schiavistico, edilizia da incubo, autonomia per finta: ecco il prodotto dell’estrema marginalità della scuola nella mentalità dei politici italiani.
Ma la colpa di Giuseppe Conte, e del suo governo, è quella di stare completamente dentro questa mentalità: dimostrando che, per la scuola, un governo vale l’altro.
Conte era stato avvisato: il ministro Fioramonti (il quale aveva evidentemente preso sul serio la retorica del cambiamento del Movimento 5 Stelle) aveva chiesto con forza un’inversione di marcia, fino a dimettersi di fronte alla pervicace inerzia con cui il presidente del Consiglio rifiutava di dare attenzione alla scuola. Ora è il Covid a presentare il conto.
La ministra Azzolina si è rivelata radicalmente incapace di governare la scuola, rilasciando dichiarazioni contraddittorie e rinviando costantemente le decisioni. Che si sono poi sempre risolte (come dimostrano ancora una volta le, tardive e non risolutive, linee guida diffuse ieri) in uno scaricabarile che lascia dirigenti e consigli d’istituto a prendere decisioni molto più grandi di loro.
Fin dai primi di marzo Azzolina avrebbe dovuto lavorare, ventre a terra e in silenzio, per assumere almeno altri 100.000 docenti (che ci volevano comunque, e che ora diventano indispensabili per riaprire); bloccare gli effetti della pessima legge Gelmini che taglia classi e scuole; ottenere non 4,5 ma almeno 7,5 miliardi di euro (che ci sono eccome, ma stanno su altri capitoli di spesa meno decisivi per il futuro del Paese); acquisire spazi provvisori e avviare subito i cantieri per ampliare quelli stabili; scrivere direttive chiare e univoche.
Non ha fatto niente di tutto questo: ottenendo il difficile risultato di compattare in unico fronte di sacrosanta protesta presidi, professori, famiglie e ragazzi.
Nonostante gli annunci, gli stessi ragazzi che ora vanno in discoteca e in palestra e gremiscono piazze e spiagge, rischiano seriamente di non tornare in aula a settembre. E sarebbe un vero disastro.
Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano”, 27 giugno 2020
Fotografia di Luke Marshall da Unsplash