di Claudio Meloni
La vicenda della apertura e della successiva chiusura del Real Bosco di Capodimonte, con i suoi effetti deflagranti a livello mediatico, ripropone per intero tutti gli elementi che compongono l’attuale crisi strutturale dei cicli lavorativi pubblici che si occupano dei beni culturali. Da quelli contingenti, relativi alla complessità dei processi di aperture dei luoghi della cultura legati alla fase 2, a quelli più strutturali, che riflettono la sostanziale incapacità dell’apparato organizzativo interno a reggere, così come ridisegnato dalle riforme Franceschini, i livelli dei servizi che costituzionalmente è tenuto a garantire.
Ricordiamo brevemente i termini della querelle: il direttore di quel Museo autonomo, dopo un duro scontro con le organizzazioni sindacali sulle misure da prendere per garantire una apertura in sicurezza del bosco, decide di chiudere di nuovo, indicando come colpevoli da un lato i cittadini, che a suo avviso non hanno rispettato le prescrizioni comportamentali, e dall’altro i sindacati, colpevoli di cieco ostruzionismo corporativo.
Un gesto eclatante, studiato a tavolino con la finalità di determinare un secondo caso Colosseo, puntando sulla probabile compiacenza mediatica per il classico gioco in cui il bersaglio dovevano diventare i sindacati ed i lavoratori pubblici. Peccato, per il direttore, che questa iniziativa si è rivelata un autentico boomerang: subito il Sindaco ha duramente criticato questa scelta ed anche i media, con l’unica e significativa eccezione del Mattino, hanno avuto una più attenta lettura critica dei risvolti di questa vicenda.
Sempre per rimanere nel merito di questa vicenda, in realtà l’ostruzionismo del tavolo di confronto sindacale è provenuto esclusivamente dal direttore, il cui vero obiettivo corrisponde al progetto di separare la vigilanza del Real Bosco da quella del Museo, affidando l’intera gestione del parco alla vigilanza privata. Un progetto che nulla ha a che vedere con la gestione delicata della fase 2, per cui tutte le soluzioni proposte al tavolo dai sindacati sono state regolarmente respinte, dall’utilizzo del personale Ales, inspiegabilmente non utilizzato (ma Ales non dovrebbe esistere per fare questo?), alla richiesta di supporto dalla Protezione Civile ed alle Autorità competenti su questa fase.
Un progetto di privatizzazione di fatto disvelato dallo stesso direttore in una intervista fatta a Repubblica, che si è rivelata un secondo autentico boomerang perché ha fatto emergere una straordinaria incompetenza normativa: il nostro si lamenta che non è in grado di assumere, chiamando in causa il ministero perché peraltro lo obbliga a defatiganti confronti con le parti sociali, invece di fare le relazioni sindacali solo a livello centrale. Insomma ce n’è per tutti: i cittadini di Napoli, i sindacati, i lavoratori e infine il ministero dei burocrati. Infilando in un colpo solo l’art. 97 della Costituzione, lo Statuto dei lavoratori, alcune fondamenta del diritto amministrativo e persino la normativa sulla sicurezza, di cui si ritiene l’esclusivo gestore, con buona pace di chi ama il diritto del lavoro.
In mezzo a questo scempio normativo abbiamo una ulteriore vittima, poco considerata di questi tempi anche se illustre: il Codice dei Beni Culturali. Il concetto di sicurezza applicato al campo dei Beni Culturali presenta variabili complesse, in particolare in una fase in cui l’esigenza di garantire l’integrità del bene da tutelare deve convivere con le misure di protezione della salute pubblica, per questo sono stati definiti protocolli di sicurezza molto specifici e la cui efficacia la stiamo misurando man mano che si riaprono i luoghi della cultura. Non abbiamo precedenti in tal senso e l’epidemia da Covid costringe a rivedere anche in questo campo i modelli organizzativi per adattarli alle necessità contingenti, ma anche nella prospettiva del medio periodo. Proprio per questo il processo è caratterizzato da gradualità e prudenza, e si è preferito partire privilegiando le aree all’aperto, dove teoricamente l’impatto delle misure è più contenuto.
Nel caso di Capodimonte la scelta viene posta, anzi imposta, a tutti è se trattare il Real bosco alla stregua di un normale parco cittadino o se applicare le misure di tutela previste dal Codice per i beni tutelati. Ci è chiara la scelta del direttore, che ha adottato da tempo il modello Luna Park, e non dimentichiamoci che è più volte emersa la proposta di far pagare un biglietto di ingresso, meno chiara, se così si può dire, è quella del Ministero, che non può negare il principio di tutela, ma nella prassi lo banalizza.
Perché ne fate un problema: la vigilanza privata si utilizza al Colosseo ed al Cenacolo, perché non estendere, visto che manca il personale. Questo ci viene detto e su questo è stato imbeccato il mitico direttore quando lo ribadisce nella sua leggendaria intervista. Ci si appella insomma al senso pratico di uomini di mondo, tirando esempi impropri e scarsamente adattabili al caso di specie. Ma noi, sindacalisti e uomini di mondo, ci siamo chiesti: ma chi lo tutela il Real Bosco, un bene che va conservato e valorizzato per i cittadini di Napoli, oggi e per i secoli a venire?
Non certo un direttore che ha più volte dimostrato la sua estraneità culturale, e non certo perché straniero, verso Napoli ed i suoi cittadini e che dimostra una ignoranza imperdonabile e supponente delle regole e delle prassi amministrative fondamentali che regolano la sua attività di dipendente pubblico. Non certo il ricorso alla vigilanza privata, ovvero di personale privo di conoscenze specifiche e che non può avere responsabilità normativa sulla tutela in senso stretto del bene culturale.
Noi faremo la nostra parte e la nostra parte sarà quella di garantire ai cittadini la libera e gratuita fruizione del Real Bosco e al Real Bosco la necessaria tutela di bene prezioso per l’umanità. Oltre che, naturalmente, ai lavoratori i diritti ed il rispetto della loro dignità. La faremo sul tavolo prefettizio che è chiamato il 26 maggio a sopperire alla evidente incapacità gestionale dimostrata dal Mibact. Gli altri facciano la loro, con il dovuto rispetto della legge, dei contratti e dei Protocolli di sicurezza.
Come se ne esce da una situazione generale che il post crisi evidenzierà nei suoi deficit strutturali, dal crollo della domanda turistica al livello di carenze negli organici pubblici che ha raggiunto il limite di rottura, è il domandone. Che riguarda il destino di migliaia di lavoratori, già vittime di gravi condizioni di sfruttamento, senza prospettive e senza risposte per un periodo indefinito. Che ha risposte complesse e su cui ci eserciteremo nei prossimi giorni, ciascuno per il suo.
Noi abbiamo le nostre proposte, incentrate sulla necessità di ridare Valore Pubblico ai servizi che sono garanti dalla Costituzione, ma qui vorrei che si riflettesse anzitutto sulla profonda inadeguatezza dei modelli gestionali che hanno caratterizzato il percorso infinito della riorganizzazione dei beni culturali, lanciare un vero e proprio segnale di allarme, prima di raccogliere le macerie. Una struttura che ha orientato il suo core business su un modello di turismo mercificato e polarizzato nei flussi che rischia di trovarsi in distonia con il day after e che per fare questo ha indebolito anche culturalmente il concetto di tutela dei beni culturali.
Una struttura pensata e schematizzata senza alcuna valutazione dell’impatto organizzativo, con la conseguenza di definire modelli organizzativi velleitari, senza alcun riscontro con la situazione reale dell’apparato interno, a partire dai suoi livelli occupazionali. Salvo poi ricorrere a forme estreme di esternalizzazioni senza diritti e che invadono sempre più i cicli che devono rimanere per norma pubblici, come in questo caso quelli di vigilanza e custodia, parte integrante del ciclo di tutela. Una riforma rimasta sulla carta intestata.
La vicenda di Capodimonte definisce questi parametri e dovrebbe dare il senso della vera portata dello scontro che si è voluto attizzare contro i cittadini, i lavoratori e le loro rappresentanze. Questo comporta una scelta di civiltà, da parte di tutti coloro che hanno a cuore il nostro patrimonio culturale.
L’autore è Sindacalista FP CGIL
Fotografia di Mentnafunangann da Wikimedia Commons