Mariangela Maritato, Il parco di Sybaris tra i più a rischio tra i siti archeologici europei

Una richiesta di inserimento nella rosa dei sette siti culturali più in pericolo d’Europa. Un’inchiesta giudiziaria sulla gestione e manutenzione delle vasche drenanti il cui mal

funzionamento ha causato un allagamento nel 2018, ennesimo episodio dopo l’esondazione del fiume Crati avvenuta nel 2013 in seguito alla quale erano stati stanziati 18 milioni di euro. Altri 190 mila euro messi a disposizione dal Mibac a luglio per interventi urgenti nel parco e nel Museo. Da forte, opulenta e avanzata polis dell’età ellenica, nota per la dolcevita degli abitanti, per la rivoluzione dei costumi e per l’invenzione del brevetto applicato a piatti di altissima gastronomia che dominavano i sontuosi simposi di un’età dell’oro lontana, a Cenerentola del turismo archeologico mondiale. 

L’allarme sullo stato del Parco archeologico della Sibaritide, 168 ettari di terra lungo la statale 106, è stato lanciato da Europa Nostra, la federazione europea per la promozione e la salvaguardia del patrimonio culturale con sede all’Aia e partner Unesco che ha inserito il sito di località Parco del Cavallo nel “Seven Most Endangered 2020”, la classifica stilata dall’ente per indicare i sette siti più a rischio nel vecchio continente, in seguito alla mobilitazione della sede locale di Italia Nostra Onlus, membro fondatore della federazione. Il fiume Crati, la cui esondazione causata dai crotonesi era stata la causa nel 510 a.C. della prima massiccia distruzione della ricca ed emancipata Sybaris, insieme all’incuria e all’abbandono potrebbero inghiottire e far sparire per sempre il sito archeologico dell’antica colonia magnogreca affacciata sul Mar Ionio, oggi sotto il comune di Cassano Allo Ionio (Cosenza) e nota ai tempi per la raffinatezza e l’estrema ricchezza dei suoi abitanti i cui resti, dalle pavimentazioni a mosaico alle rocche delle colonne con mura accostate della romana Copia, già vivono in uno stato di precarietà costante. 

A partire dal Rinascimento, la riscoperta della più celebre città achea d’Occidente fu un desiderio per generazioni di storici, antiquari e archeologi. L’esplorazione scientifica del territorio di Sibari ha inizio nel 1879 sotto la direzione di Francesco Saverio Cavallari del Museo di Siracusa che seguendo le indicazioni di Strabone, Erodoto e Diodoro, iniziò a fare le prime ricognizioni tra il Crati ed il Coscile. Le scarse risorse economiche non portarono a risultati di rilievo e gli scavi si interruppero due anni dopo, con la messa in luce della necropoli ellenistica di Thurii. Il sogno si esaudì solo nel 1932 grazie alle ricerche di Umberto Zanotti Bianco, ambientalista antifascista firmatario del manifesto degli intellettuali contro il regime di Benedetto Croce. Avviati scavi sistematici, dagli anni ’70 in poi, il parco porta impropriamente il nome della polis arcaica considerato che le sole vestigia rimesse in luce appartengono alla fase tardo-antica della colonia romana di Copia, sovrapposta alla Thurii periclea, mentre Sybaris giace qualche metro in profondità, allagata dall’innalzamento dell’acqua di falda e del livello del mare assorbendo ingenti risorse finanziarie pubbliche. Finanziamenti investiti per le indagini stratigrafiche ma, soprattutto, per il funzionamento costante del sistema well point di drenaggio, senza il quale sarebbe stato impossibile tenere sotto controllo il livello dell’acqua di falda per rendere praticabile un parco che non è però mai entrato a pieno titolo nel circuito turistico nazionale e stenta anche rispetto a quello calabrese, già piuttosto asfittico. 

Una mossa decisiva, quella di accendere i riflettori sul sito di Sibari che, a seguito dello sdegno e delle segnalazioni anche via Social, ha visto correre ai ripari gli operatori di Italia Nostra onlus per la salvaguardia locale. Il presidente della sezione di Trebisacce, l’architetto Angelo Malatacca, non ha dubbi sulle cause di degrado del parco: dall’allagamento alle difficoltà della gestione ordinaria per operazioni basilari come il taglio dell’erba alle spese per realizzare le inutili trincee drenanti per difendere i reperti dalle alluvioni. 

La scarsa accessibilità e fruizione con assenza di collegamento con la Stazione ferroviaria di Sibari e una segnalazione stradale poco efficace fanno il resto. Una situazione che ha portato lo scorso 6 luglio all’apertura di un’inchiesta da parte della procura di Castrovillari (Cs) per fare luce su una spesa di circa venti milioni di euro stanziati da Governo e Regione dopo l’esondazione del fiume Crati del gennaio 2013 che fece numerosi danni. La magistratura si è mossa solo a seguito di un incontro con la direzione del Museo, polo museale della Calabria, soprintendenza dei beni culturali di Cosenza, procuratore della Repubblica di Castrovillari e Paola Galeone, prefetto di Cosenza servito per discutere tutte le emergenze legate al Parco archeologico di Sibari, in particolare quella dei continui allagamenti ai quali è sottoposto il sito. 

Per il solo Parco del Cavallo, l’area principale del Parco archeologico, dopo alluvione del 2013 erano stati spesi oltre diciotto milioni di euro. Le forti piogge del 2018 che hanno portato all’ennesima esondazione e allagamento hanno reso evidente il malfunzionamento dell’impianto wellpoint, le trincee drenanti, costato diverso milioni di euro e rivelatosi inadatto a gestire il sistema di Sibari. A luglio il Mibac ha destinato ulteriori 190 mila euro per il Parco e il Museo archeologico nazionale della Sibaritide. Nel dettaglio, nell’anno in corso saranno stanziati 60 mila euro per “La sistemazione e l’integrazione dell’illuminazione esterna è necessaria per una migliore fruizione in sicurezza di tutte le aree del Parco”. Per i lavori di adeguamento delle strutture esterne del museo bisognerà invece aspettare il 2020 per l’ulteriore finanziamento di 130 mila euro. Un ritardo e una difficoltà di gestione che rispecchia una scarsa capacità delle istituzioni e delle strutture amministrative di avviare politiche di management del patrimonio archeologico calabrese di respiro internazionale, spendendo milioni di euro con la stessa capacità – tra passaggi di consegne e riforme burocratiche – di mandare i siti in malora come è avvenuto a Capocolonna in provincia di Crotone, dove hanno avuto l’accortezza di coprire i reperti con una colata di cemento, ma anche a Caulonia erosa dal mare e in altri siti minori come Castiglione di Paludi. Se anche la natura rappresenta un fattore di minaccia, il fiume Crati ha sempre richiesto interventi di altissima ingegneria per contenerne gli argini. Passato alla leggenda più recentemente per il tesoro del re dei Visigoti, già nel 510 avanti Cristo i coloni di Kroton deviandone il corso distrussero Sybaris. Nulla di nuovo, a parte la totale fallibilità dei metodi applicati e la necessità di competenze e controllo per ogni intervento umano. 

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