Fabio Balocco, Come muore una libreria

La storica libreria Comunardi, nel cuore di Torino, in Via Bogino 2, da sempre punto di riferimento di una certa sinistra non omologata, chiuderà per fare posto a un

supermercato. Questa è l’intervista che ho fatto al suo titolare da sempre, Paolo Barsi. Un’osservazione: Paolo usa un po’ il singolare, un po’ il plurale. È come se talvolta lui sentisse la libreria come un’altra persona?

Paolo, puoi raccontarci la cronistoria della vicenda che ha portato allo sfratto?

Quando, nel 2014, morì il vecchio proprietario con cui stipulai il primo contratto di affitto nel 1976 e i successivi rinnovi, gli eredi decisero di vendere il patrimonio immobiliare ricevuto, compresi i muri della libreria. La proposta di acquisto che mi rivolsero era insostenibile per le mie finanze e paventando altrimenti l’inserimento di qualche affarista, di cui avevo già sentore, mi adoperai immediatamente per cercare una persona o società amica disposta a investire nell’acquisto dell’immobile con la promessa di dare continuità all’attività della libreria. Nonostante due estenuanti tentativi di acquisto da parte di due diverse e note società torinesi, virtualmente amiche, gli sforzi non sortirono l’effetto sperato. La collocazione centrale e le dimensioni della libreria erano molto allettanti per numerosi investitori, soprattutto società immobiliari sguinzagliate dalla Grande Distribuzione alla ricerca di locali come il nostro, grandi e centrali, e la proprietà era, ovviamente, attratta dalle loro proposte. Le società immobiliari, quando trovano il posto adatto, lo acquistano accendendo un mutuo bancario che verrà ripagato dall’affittuario (che poi è il committente, nel caso specifico un supermercato). Questa triangolazione (banca/società immobiliare/supermercato) mette in moto un concerto di interessi difficilissimo da superare perché ad ognuno procura lauti guadagni: interessi sul mutuo per la banca, costituzione di un patrimonio immobiliare per la società, affari per il supermercato che, a sua volta, affitterà i suoi scaffali ai vari brand che intendono “entrare” nel suo negozio, abbassando di fatto l’onere dell’affitto. Che sia impossibile superare questo scoglio, ho potuto sperimentarlo allorquando ho proposto alla nuova società proprietaria (Ellemme) di accettare un aumento del 25% del mio canone di affitto già oneroso, ricevendone una risposta negativa. Sono certo che se avessi offerto di pareggiare l’affitto del supermercato (+ 50%) non avrebbero accettato ugualmente. Il triste risultato di questo contendere è che morirà una libreria storica nata nei locali di via Bogino n. 2, 43 anni fa (quarantatre!), per fare posto a un Pam Local!

A parte le società che tu definisci “virtualmente amiche”, hai trovato qualche appoggio nel tentativo di salvare la libreria? 

Nel luglio del 2018 è partita una raccolta di firme sulla piattaforma Change.org lanciata da un gruppo di studenti universitari, che ha raccolto più di 52.000 firme e che protestava la sua indignazione per la chiusura della libreria a vantaggio dell’ennesimo supermercato. Questa inimmaginabile, almeno ai miei occhi, opposizione di massa all’avanzare della gentrificazione ha portato anche la stampa cittadina e la televisione locale a occuparsi della vicenda. Un video con una mia breve intervista espressamente richiestami da un piccolo quanto coraggioso e pluripremiato editore torinese (Eris) ha raggiunto più di 70.000 visualizzazioni. Anche la trasmissione radiofonica “Fahrenheit” si è occupata della nostra storia con una lunga intervista. Tutto questo movimento, testimoniato giornalmente in libreria dall’afflusso di molti lettori, anche non nostri clienti abituali, indignati e solidali con noi, mi ha notevolmente inorgoglito e rinfrancato, e forse anche illuso che fosse possibile vincere la sfida. Nel frattempo infatti, grazie alla mediazione del vicesindaco prof. Montanari, era stata contattata la seconda società “amica” (in realtà una Fondazione) che aveva dichiarato il suo interesse a rilevare i locali e a permettere alla libreria di continuare la sua attività. Dopo cinque mesi di ansiosa attesa, peraltro, la Fondazione si è ritirata dalla trattativa senza neanche preavvertirci. Risultato: cinque mesi persi, altrimenti utilizzabili per una ricerca di altri possibili acquirenti e soprattutto una poderosa accelerata da parte dei vecchi proprietari (Crab) a concludere l’affare con la società immobiliare (Ellemme), oggi nuova proprietaria dei locali.

Veniamo a quest’altra domanda: hai delle prospettive di ricollocazione?

Al momento non ci sono soluzioni in vista per una ricollocazione che consenta di vivere un’esperienza professionale non precaria. Per un eventuale spostamento ci sono tre scogli ostativi. Il primo è che bisogna trovare una posizione di passaggio: se vai in una via laterale o poco frequentata, rischi moltissimo sotto il profilo economico e della visibilità. Il secondo è costituito dalle dimensioni, almeno 150/170 metri quadri (la libreria attualmente ne occupa 250), perché non essendo una libreria generalista, abbiamo bisogno di spazi che ci consentano di continuare il lavoro di plurispecializzazione (politica, storia, filosofia, cinema, teatro, fumetti e grafica, letteratura etc.) e di avere un numero di titoli non limitato soltanto alle novità degli ultimi mesi. Oggi vantiamo una presenza in libreria di 22.000 titoli circa, corrispondenti a 40.000 copie complessive. La posizione che abbiamo ci consente di stare aperti 360 giorni all’anno con orari che si estendono dalle 9 alle 24 e nei giorni festivi dalle 10 alle 20. Così come gli spazi ci consentono di ospitare eventi, presentazioni, conferenze. Il terzo scoglio sono i costi, che sono aumentati in questi anni, soprattutto nel centro di Torino, dove vorremmo continuare a stare perché qui è nata la libreria Comunardi e qui è conosciuta. Con il fenomeno della gentrificazione, gli spazi del tipo che cerchiamo vengono destinati a supermercati, quando non a ristoranti o similari. Il centro di Torino è sempre più una Disneyland del cibo.
Le piccole librerie sono sempre di meno, non solo qui, ma in generale in Italia, inghiottite o fatte morire dai grandi gruppi, oltre che dalle vendite online. Userei una parola, al riguardo: resistere. In generale quello che sta succedendo in Italia è che i grandi gruppi editoriali aprono in proprio dei punti di vendita o promuovono loro franchising. In questo modo coprono tutta la filiera del libro, nel senso che stampano, distribuiscono, vendono sia online che direttamente. È un’anomalia del mercato, lo definirei un abuso di posizione dominante. È chiaro che a livello di concorrenza per le piccole librerie non c’è gioco. Le performance economiche delle piccole librerie sono estremamente risicate, oggi la vita è dura per loro. Ciononostante, a Torino le librerie mostrano un notevole dinamismo, organizzando molte iniziative culturali. Da due anni poi, più di una ventina di librerie indipendenti torinesi si sono consorziate e sono particolarmente attive.

Tu hai il polso dell’editoria in Italia. A me stupisce che l’italiano legga pochissimo, ma fioriscono sempre nuove case editrici.

Mah, il fatto che nascano nuove case editrici secondo me è poco significativo. Bisognerebbe indagare quante di esse sono dotate di un progetto editoriale compiuto e competenze adeguate oltre che consapevoli e organizzate per affrontare le numerose difficoltà gestionali e distributive. Scremato così il campo, ci accorgeremmo che le nuove case editrici realmente interessanti e potenzialmente dotate sono molto poche e saranno le sole ad avere vita lunga. Per quanto concerne la lettura in Italia è forse utile ripetere che una funzione fondamentale può esercitarla la formazione scolastica. Investimenti sul corpo insegnante a tutti i livelli, sulla didattica, sui programmi, sulle strutture scolastiche, possono agevolare una inversione di tendenza in prospettiva. Ma soprattutto io credo che la scuola nei suoi vari ordini e gradi debba operare un rovesciamento di prospettiva e lavorare sulla formazione della personalità dei giovani, valorizzando la cultura e lo studio per sé e non soltanto preparare dei cinici soldatini per il mondo del lavoro, tutto debiti e crediti, questionari con crocette e valutazioni a medie matematiche. La cultura, forse è un sogno, dovrebbe farsi status, diventare agli occhi delle persone civili un ideale da coltivare.

 

Come muore una libreria

 

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