Vittorio Emiliani, Soprintendenze: Si cambia. Era ora

Qualche giorno fa è girata voce che il ministro per i Beni Culturali, Alberto Bonisoli, intendesse riparare i guasti più rovinosi della cosiddetta “riforma Franceschini” ricreando le Soprintendenze territoriali specializzate (archeologia in testa) e mandando in soffitta le

Soprintendenze Uniche create senza alcuna consultazione di veri esperti. Subito alcuni “soldatini” dell’ex ministro, fra i primi il premiato Giuliano Volpe e il solito Andrea Carandini hanno emesso un comunicato nel quale chiedevano allarmati a Bonisoli di soprassedere perché tutto stava andando per il meglio… Discorso tragicomico, poiché si sa che le cose vanno di peste.

Al documentino di difesa ufficiale e al suo esiguo drappello di firmatari sta rispondendo a valanga un esercito di archeologi militanti o provenienti da una dura esperienza pluriennale “sul campo”: in testa tre ex direttori generali alle Antichità, Luigi Malnati, Stefano De Caro, primo italiano a dirigere l’Iccrom (Unesco), Anna Maria Reggiani, nonché i protagonisti di grandi stagioni dell’archeologia a cominciare da Adriano La Regina, in Molise e poi a Roma e da Piero Guzzo in Puglia e altrove. Le adesioni continuano a fioccare, ma l’altro giorno erano già più di 280, con molti funzionari in carica, non più spaventati dai “bavagli” ricattatori.

Una delle decisioni più cervellotiche della “Riforma Franceschini” era consistita nel tagliare il cordone ombelicale che da sempre lega, storicamente, i Musei al loro territorio. Tanto più quelli archeologici ovviamente nutriti (lo capisce pure un bambino) degli apporti continui degli scavi e delle scoperte dell’archeologia preventiva nelle città. Con reperti che, separati di netto i Musei dal territorio, rimangono in una sorta di terra di nessuno, coi Musei “congelati” – come denuncia l’appello di Malnati, De Caro, Reggiani, La Regina, Guzzo ed altri – da una parte, e dall’altra le Soprintendenze impossibilitate a collocarli. Tanto più che a dirigere lo splendido Museo della Magna Grecia di Taranto è stata mandata, chissà perché, una archeologa medioevale e a guidare il mirabile Museo greco-romano di Napoli è stato spedito un etruscologo, per giunta dalla più che modesta bibliografia.

Nel documento si denunciano con molta chiarezza tante altre storture scriteriate: le attuali Soprintendenze uniche “hanno un’estensione superprovinciale, mentre le Soprintendenze archeologiche soppresse avevano quasi sempre una estensione regionale” e quindi c’è stato una autentica bassa macelleria “di uffici, strutture organizzative e scientifiche (…), di biblioteche, laboratori, archivi, depositi”.

Nella mente di Franceschini e dei suoi collaboratori era tassativo separare la tutela (lasciata alle Soprintendenze) dalla valorizzazione turistico-commerciale (affidata ai Musei e ai loro Poli). Indebolendo di fatto la prima. “La sottovalutazione delle competenze scientifiche in materia archeologica – prosegue il documento degli archeologi – ha già provocato la diminuzione statistica degli scavi di archeologia preventiva” calcolabile addirittura in un 45-55 %. Un massacro.

Ovviamente lo scollamento degli organismi di tutela dai musei e dai parchi archeologici ha creato confusioni e carenze riducendo la tutela “ad un puro esercizio burocratico finalizzato al mero rilascio di pareri secondo la prevalente prassi del settore architettonico-paesaggistico” creando un ammasso di inciampi e di problemi. Altro che semplificazione. Senza contare l’accresciuta difficoltà di rapporti con tanti Musei che sono, specie al Centro-Nord, Civici.

Del resto, basta studiare un po’ di storia della tutela. Nel 1923 il governo fascista aveva accorpato la rete delle Soprintendenze – che era stata creata agli inizi del ’900 da personaggi come Corrado Ricci – ma quindici anni più tardi Giuseppe Bottai, assistito dal giovane Giulio Carlo Argan (sorvegliato a vista dall’OVRA per le proprie amicizie antifasciste), liquidò seccamente quella riforma sbagliata, ridando funzioni e meriti alle competenze specializzate (archeologia, monumenti e gallerie) e aumentandole da 28 a 58. Le Soprintendenze cosiddette “miste” erano l’eccezione.

I maggiori archeologi e soprintendenti chiedono di: 1) ripristinare le Soprintendenze archeologiche autonome, per tutela, ricerca e valorizzazione e la Direzione generale archeologia quale organismo di coordinamento; 2) riaccorpare i Musei alle Soprintendenze; 3) effettuare concorsi pubblici veri e non “selezioni”.

Siamo seri, finalmente.
FQ  | 29 dicembre 2018

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