Vittorio Emiliani, Risorge il Teatro neoclassico di Rimini. Ma il progetto non è proprio quello “filologico”

Le bombe del dicembre 1943 e le successive razzie di materiali, di legni da ardere, avevano distrutto la splendida sala teatrale progettata a metà ‘800 dal grande Luigi Poletti, ultimo

architetto neoclassico (San Paolo fuori le Mura, teatri di Fano, Rimini e Terni). Dalla piazza centrale di Rimini si aveva una illusione ottica: si scorgeva intatto l’avancorpo con la facciata, l’ingresso e il foyer del teatro comunale riminese. Dietro al quale però non c’era più nulla fino al contiguo e straordinario Castelsismondo attribuito ormai con certezza a Filippo Brunelleschi. Per decenni e decenni si sono susseguiti tentativi di ricostruire il teatro comunale ,che, inaugurato in epoca ancora papalina, nel 1857, con l’<<Aroldo>> di Giuseppe Verdi, era stato poi intitolato a Vittorio Emanuele II. Nel 1946 quel che ne restava era stato dedicato al musicista di Perticara, Amintore Galli autore della musica dell’Inno dei lavoratori, versi di Filippo Turati. Una parte della città voleva ripristinarlo com’era e dov’era e un’altra parte invece voleva ampliarlo per avere una sala moderna, capace di almeno 1200 posti. L’amministrazione di sinistra, maggioritaria dalla Liberazione, prediligeva quest’ultima soluzione considerando “aristocratico e borghese” il teatro del Poletti e si imbarcò in svariati progetti anche molto costosi come il Teatro-culone, una grande sala cementizia attaccata al corpo residuo del teatro del 1857, sepolto nel ridicolo e però costato una bella cifra alla città. Era cominciata, ad opera di un giovane storico dell’arte, Attilio Giovagnoli, laureatosi al Dams con una tesi su Poletti, e del suo sodale, anch’egli impegnato storico dell’arte, Giovanni Rimondini, la battaglia per riavere il teatro neoclassico nelle forme originali. Grazie anche al comitato da essi costituito presieduto dal grande soprano Renata Tebaldi, ritiratasi a San Marino, formato, fra gli altri, da Abbado, Muti, Gavazzeni, Chially, Italia Nostra, Comitato per la Bellezza, ecc. e sostenuto dai soprintendenti del tempo, Andrea Emiliani e Elio Garzillo. Quest’ultimo poi ha concorso con l’architetto Pier Luigi Cervellati, autore del restauro filologico del bel Teatro Rossini di Lugo, al progetto che, dopo altri anni di braccio di ferro, ha convinto il Comune ad imboccare la strada del recupero. Grande risultato, storico risultato, in parte appannato però dalle modifiche che l’Ufficio Tecnico comunale ha apportato con l’avallo di nuovi soprintendenti, eliminando due belle scale, utilizzando materiali più poveri di quelli originali, impiegando molto cemento sia pure coperto di mattoncini o di gesso. Certo, molto meglio del Teatro-culone, ma peggio di quanto avrebbe potuto essere col progetto Cervellati-Garzillo. E soprattutto molto più costoso. Alla fine di 75 anni di discussioni, si poteva fare di meglio, e però si è seriamente rischiato di fare molto ma molto di peggio. Quanto alla resa acustica, se ne saprà di più col concerto inaugurale del 28 ottobre prossimo, compleanno di Luigi Poletti.

Ora qualcosa si sta muovendo anche per il terzo dei teatri polettiani da recuperare (quello mirabile della Fortuna di Fano è stato restaurato circa 25 anni fa), cioè la sala comunale di Terni. Risalente al 1849 e dotata di un bel pronao, è stata pesantemente bombardata – come tutta la città dell’acciaio – e poi brutalmente manomessa con una galleria al posto dei palchi per farne un cinematografo chiuso e inagibile dal 2009. Il pronao neoclassico è stato restaurato poco tempo fa, ma il problema del ripristino integrale della terza sala polettiana, dopo Fano e Rimini, è quanto mai aperto. Soprattutto con l’aria di quaresima che tira sugli Enti locali. Anche se a Rimini la “filologia”elegante del progetto Cervellati-Garzillo sarebbe costata, per la verità, molto meno alle casse comunali.

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