Comunicato Emergenza Cultura
Il ‘programma di governo’ M5S – Lega non è in effetti un documento operativo da cui si possano sempre desumere i termini precisi dei provvedimenti che si
intende adottare, come hanno rilevato diversi commentatori segnalando gli impatti negativi che stanno avendo alcuni preannunci sommari e imprevedibili nei dettagli decisivi. Ciò si può spiegare con l’oggettivo stato di indeterminatezza in cui ancora si trovano intenzioni e progetti che richiedono ben più approfondita preparazione o con l’esigenza dei partners di pervenire a un compromesso che, persistendo posizioni iniziali difficilmente conciliabili o sostanziali indecisioni, deve per forza risultare generico e ambiguo per rinviare al futuro le decisioni effettive.
Il capitolo dedicato alla ‘Cultura’ del programma, e in particolare la parte relativa ai beni culturali, non sfugge a tale condizione, nel senso che sembra riflettere un compromesso generico nel quale si neutralizzano tendenze alquanto diverse; ricordiamo che Salvini, in un talk televisivo, chiese alla ministra Boschi di sopprimere le soprintendenze e lei rispose che il governo lo stava facendo, mentre risulta che il M5S non fosse altrettanto allineato alla politica del governo Renzi in materia.
Ma leggendo il capitolo si vede anche che in sostanza esso non presenta alcuna innovazione in merito, ma costituisce un chiaro segnale della continuità bi – ma dopo il 4 marzo si dovrebbe dire multi – partisan della politica dei governi Renzi e precedenti.
Infatti, dopo le solite ovvie e generiche ennesime dichiarazioni sull’entità e importanza del nostro patrimonio culturale, sulla sua condizione di “non essere valorizzato a dovere” quale “strumento fondamentale per lo sviluppo del turismo” e sulla necessità di assicurarne una migliore fruizione “attraverso una migliore cooperazione tra gli enti pubblici e i privati”, per quanto riguarda le concrete misure che il governo dovrebbe prendere in materia non si dice in effetti nulla.
L’unico, implicito cenno in merito il programma lo fa da una parte quando dice che “tagliare in maniera lineare e non ragionata la spesa da destinare al nostro patrimonio…significa ridurre in misura considerevole le possibilità di accrescere la ricchezza anche economica dei nostri territori ”, ma dall’altra anche quando dice che occorre tutelare i beni culturali “utilizzando in maniera virtuosa le risorse a disposizione”. Si deve quindi dedurre che per il patrimonio culturale non ci saranno nuove risorse e che non è nemmeno escluso che le attuali risorse possano essere fra quelle da tagliare – anche se “in maniera ragionata” (ne resteranno infatti pur sempre delle residue “a disposizione”) – per diminuire le tasse ai ricchi.
La principale e più urgente misura che ci si sarebbe attesa da un governo composto da forze che erano all’opposizione dei governi precedenti e quindi – si presumeva almeno per il M5S – contrarie alle politiche da questi attuate anche nel settore dei beni culturali, era un recupero e rafforzamento della tutela dei beni sul territorio, il cui apparato è stato smantellato dalla sciagurata riforma Franceschini. Questa, per creare senza apposite risorse 30 posti di direttore generale per i più importanti (e redditizi) musei e siti resi autonomi, ha soppresso 36 soprintendenze scorporandone i musei minori confluiti in 17 nuove strutture burocratiche inutili e disfunzionali – le direzioni regionali (‘poli’) museali – e ha soppresso i posti dirigenziali di 14 Archivi di Stato e 9 biblioteche statali.
Correggere le distorsioni introdotte per la tutela dalla riforma Franceschini sarebbe quindi stata la prima cosa da fare subito per il settore dei beni culturali. Infatti per la valorizzazione e fruizione è già stato fatto fin troppo (l’apparato deve ancora adattarsi ai nuovi cambiamenti, che hanno creato temporanei squilibri disfunzionali di distribuzione di personale e risorse) e i nostri musei e siti storici e archeologici non devono “tornare” “ad essere poli di attrazione e d’interesse internazionale”, come dice il ‘programma’, perché non hanno mai smesso di esserlo e lo sono sempre più, dati alla mano, mentre invece occorre riequilibrare a favore della tutela dell’immenso patrimonio diffuso sul territorio penalizzata da Franceschini l’organizzazione e le risorse del Ministero.
Ma la correzione della riforma Franceschini, contro la quale EC e tutti gli operatori culturali del settore si sono invano battuti scendendo anche in piazza, o almeno più genericamente una priorità del potenziamento della tutela sul territorio, nel ‘programma’ non c’è affatto.
Un più benevolo commentatore (Manlio Lilli sul “Fatto quotidiano”) ha detto, in gergo calcistico, che questo sarebbe ‘un autogol’ degli autori del programma per questa legislatura. Noi pensiamo invece che non si tratti di un autogol inintenzionale perché questa ‘squadra’ evidentemente non gioca per la tutela dei beni culturali, ma contro e quindi esso va contato come un suo gol. La ‘nottata’ dunque non passa ancora e la tutela di beni culturali e, per restare nel gergo calcistico, sembra debba perdere anche questo ‘girone’.