Stefania Caiazzo*
Il Grande Progetto Pompei e la manifestazione di interesse pubblicata poche settimane fa, attraverso la quale l’Unità Grande Pompei chiede ancora una volta ai privati di occuparsi di urbanistica e di strategie di trasformazione territoriali ed economiche presentando progetti finalizzati al recupero ambientale dei paesaggi degradati e compromessi, al riuso delle aree industriali dismesse e alla riqualificazione e rigenerazione urbana nei comuni Boscoreale, Boscotrecase, Castellammare di Stabia, Ercolano, Pompei, Portici, Terzigno, Torre Annunziata, Torre Del Greco e Trecase, sono a mio avviso paradossali.
E oggi più che mai evidenziano una grave contraddizione: perché mentre la Regione Campania, a fronte di una antica disaffezione dei Comuni campani per la pianificazione urbanistica, cerca di fare l’impossibile (proroghe, incentivi, diffide, commissariamenti) per ricondurre i Comuni alla ordinarietà e dunque, ai percorsi normali della pianificazione e della legge, ad approvare Puc e Vas, anche attraverso la partecipazione delle comunità insediate alle scelte relative alle trasformazioni territoriali, il Grande Progetto Pompei spariglia tutto e attraverso il Piano strategico chiede ai privati di proporre nuovi interventi di trasformazione anche di grande scala ed impatto, svincolati da qualsiasi strategia di insieme verificata e approvata dai piani territoriali e urbanistici regolamentati dalla legge e aggiornati, liberi da qualsiasi valutazione sugli impatti ambientali e sul carico urbanistico indotto nel contesto allargato, indifferenti alle volontà degli abitanti che non sono chiamati a nessun incontro di condivisione e discussione pubblica, slegati da qualsiasi regola e disposizione pregressa dal momento che possono andare tranquillamente in deroga ai piani regolatori vigenti.
Ancora una volta in Campania si decide di affrontare la famigerata emergenza dei nostri territori vesuviani non con l’azione amministrativa e la pianificazione ordinarie, ma con uomini, mezzi, risorse e strumenti eccezionali, attivando una sorta di amministrazione parallela che, attraverso i poteri speciali stabiliti dalla legge, si sostituisce alle amministrazioni ordinarie (regionali, metropolitane e comunali) coordinando e gestendo quanto spetterebbe loro fare, visto che sono i soggetti democraticamente eletti in quei territori, amministrativamente competenti a definire strategie e a gestire il governo delle trasformazioni territoriali, costituzionalmente responsabili per informare, coinvolgere e tutelare per prossimità le comunità insediate. Nella recente manifestazione di interesse si dichiara che l’intenzione è quella di acquisire proposte progettuali relative ad “opere private di interesse pubblico” da inserire nel Progetto strategico. Ed è proprio sull’interesse pubblico che varrebbe la pena di fermarsi a riflettere visto che i tagli fondamentali inferti da queste procedure straordinarie sono proprio a discapito del “pubblico”.
Prima di tutto varrebbe la pena di riflettere banalmente sul fatto che l’invito è rivolto ai privati che, prima di tutto, perseguono il loro interesse economico e che sono chiamati a proporre trasformazioni, ristrutturazioni e riusi, prioritariamente sulle aree industriali dismesse che è a tutti noto, soprattutto nei territori vesuviani costieri, sono aree estremamente delicate, rischiose e appetibili. E questo anche considerando che i privati nelle loro proposte, oltre al loro interesse, sono tenuti a soddisfare genericamente l’interesse pubblico dunque ad utilizzare un ventaglio di destinazioni estremamente variegato e flessibile, dalle attività alberghiere e ricreative a quelle commerciali, anche queste non banali dal punto di vista delle ricadute urbanistiche e sociali.
Ancora varrebbe la pena di riflettere su quale interesse pubblico sta nel “processo di concertazione” tra le amministrazioni pubbliche interessate visto che queste amministrazioni deliberatamente nel proporre le trasformazioni in accordo con i privati non utilizzano il piano urbanistico in particolare la componente operativa del Puc che consentirebbe nei cosiddetti ambiti “trasformabili” del piano di individuare e selezionare gli interventi più opportuni di trasformazione insediativo- infrastrutturali, privati, pubblici o misti – ma percorsi alternativi che annullano le fondamentali verifiche ambientali (Vas) e gli incontri di partecipazione, discussione e condivisione pubblica? Ed infine c’è da chiedersi quale maggiore vantaggio, quale garanzia sociale, quale fondamentale interesse pubblico possono mai esprimere i privati per il rilancio economico – sociale, la riqualificazione ambientale e urbanistica, il potenziamento dell’attrattività turistica del territorio, rispetto a quello espresso in modo prioritario, per interessi, competenza, tempi e contenuti, dalla pianificazione pubblica e democraticamente condivisa?
*L’autrice è urbanista, già assessora all’Urbanistica del Comune di Torre Annunziata
Articolo pubblicato su “la Repubblica – Napoli” il 10 agosto 2021. Fotografia di AlMare da Wikimedia Commons.
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