Tomaso Montanari
Le Grandi Navi a Venezia sono come la povera nonna degli studenti somari, condannata a morire più volte, e nello stesso anno scolastico, per offrire al nipote negligente una via di fuga da interrogazioni e compiti in classe. Nel caso dei colossi da crociera, inquinantissimi e devastanti per l’ambiente, ad arrivare due volte in tre mesi è l’annuncio festoso del loro blocco: e i somari sono i ministri della Repubblica. Solo il 31 marzo il ministro Franceschini twittava: “Una decisione giusta e attesa da anni: il Consiglio dei ministri approva un decreto legge che stabilisce che l’approdo definitivo delle Grandi Navi a #Venezia dovrà essere progettato e realizzato fuori dalla laguna, come chiesto dall’@unesco”. Il 13 luglio lo stesso ministro dichiara che l’approvazione del decreto sulle Grandi Navi fa di questa “davvero una giornata importante: non è esagerato definirla storica perché dopo anni di attesa dal primo agosto non passeranno più grandi navi davanti San Marco e il canale della Giudecca”. Come spesso succede quando gli annunci roboanti e le “giornate storiche” si moltiplicano, la verità è che ci stanno prendendo in giro.
Perché, dunque, tornare due volte in tre mesi sulla stessa decisione? Perché – nonostante la diplomatica visita di Mattarella alla sede parigina dell’Unesco del 6 luglio – l’Unesco non si era affatto bevuto lo stop alle Grandi Navi, che era stato invece celebrato da tutti i giornaloni italiani. E minacciava seriamente di inserire Venezia nella black list dei siti del patrimonio dell’umanità a rischio, con l’effetto di rovinare la reputazione globale dell’intoccabile Banchiere Taumaturgo. E così, precipitandosi a decidere alla vigilia della decisione Unesco, il governo ha concesso qualche altra cosa: una più decisa cosmesi, un po’ di perline colorate. Uno specchietto per le allodole parigine.
Lo specchietto, intendiamoci, è meglio di niente. Mentre col decreto di marzo tutto sarebbe rimasto esattamente com’è ora finché non fosse stato costruito l’approdo “provvisorio” di Marghera (un giocattolo da 157 milioni di euro, che a sua volta deve durare fino alla costruzione del porto off shore, cioè in mare al largo della Laguna…), col decreto di luglio le navi che superano una serie di parametri (tra i quali però non c’è l’emissione di particolato che uccide i marmi, e i polmoni dei veneziani) non potranno più passare da Bacino e Canale di San Marco e dal Canale della Giudecca. Cioè verranno escluse dalle zone del turismo internazionale: evitando così che possano essere scattate fotografie come quelle che hanno indignato il mondo. Un passo avanti: ma, si dice già a Venezia, in realtà è come mettere le Grandi Navi sotto il tappeto.
Perché, se quel che la cosmesi del governo Draghi nasconde è chiaro, non lo è di meno quel che invece rivela: la mancanza della consapevolezza dell’unità ambientale della Laguna. Non per caso nel decreto manca il concerto del (già) Ministero dell’ambiente: la Laguna è considerata una infrastruttura, esattamente come il Mose la considera una vasca da bagno da riempire o svuotare a piacimento. Che il governo la pensi così, lo dimostra la scelta aberrante, contenuta nello stesso decreto, di nominare Commissario Straordinario per l’approdo di Marghera e per la manutenzione dei canali (ah, la passione del governo dei Migliori per le procedure eccezionali!) l’attuale presidente dell’autorità del sistema portuale: la Laguna come un grande porto! Ma non è così: la Laguna è una cosa viva, ed è una cosa unica. Le Grandi Navi, quelle enormi, continueranno impunemente a violentarla, passando dal Canale dei Petroli e arrivando all’approdo di Marghera: provocando moto ondoso, inquinamento dell’aria e dell’acqua. E perpetuando per Venezia un modello di turismo insostenibile (quello che l’ha uccisa) e per Marghera un modello industriale non meno insostenibile: di riconversione ecologica per la Laguna nemmeno l’ombra!
Lo stesso governo che sospende il blocco dei licenziamenti perché il Mercato faccia il suo corso (non importa quanto affondando le zanne sulla carne umana), stanzia milioni (ancora non sappiamo quanti) di soldi pubblici per rimborsare le compagnie delle Grandi Navi che dal primo agosto non potranno più scorrazzare nel Bacino di San Marco. Invece di far loro causa per aver lucrato per decenni in palmare contrasto con l’utilità sociale imposta dall’articolo 42 della Costituzione, li riempiamo di soldi ( che potrebbero servire a manutenere la Laguna, o a mille altri scopi, dalla scuola alla salute). Il problema è drammatico, ed è culturale: come tutti gli altri che l’hanno preceduto, questo governo non sa cosa sia la Laguna, e non gli interessa impararlo. E, più di tutti gli altri governi, questo coltiva la propria immagine internazionale, per continuare a fare in casa le cose peggiori.
E di Venezia, in fondo, importa quasi solo ai pochi veneziani che si ostinano a viverla: tutta, Laguna compresa.
Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 19 luglio 2021. Fotografia di Marco Crupi da Flickr.
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