Draghi, un uomo “concreto”? Non dice nulla [ad es. su clima, cultura, paesaggio] e piace a tutti

Tomaso Montanari

La cortina fumogena dei turiboli agitati da (quasi) tutte le forze politiche e le testate rende difficile prendere il discorso al Senato di Mario Draghi per quello che realmente è: un testo ordinario, non sorretto da una particolare visione e irto invece di luoghi comuni del nostro tempo, e di travestimenti retorici atti a piacere a tutti, cosa possibile solo dicendo il meno possibile.

Il pianeta come la moneta, le persone come capitale umano, l’istituto tecnico come avviamento professionale delle classi subalterne, i migranti economici da rimpatriare: il vocabolario è quello liberista corrente (come dimostra il plagio con cui Draghi ha inglobato nel suo discorso intere parti di un articolo dell’ultraliberista Giavazzi).

Un discorso che, quando tocca le materie dell’articolo 9, mostra il disallineamento con il progetto della Costituzione. Mai menzionata nel discorso, quest’ultima è stata invece citata nella (raccogliticcia) replica serale al Senato: per dire che Draghi faceva sua la proposta di Conte di inserire in Costituzione “un punto sull’ambiente e sul concetto di sviluppo sostenibile”. Non tornerò sulla pericolosa ipocrisia del concetto di “sviluppo sostenibile”, ma non si può non sottolineare che l’ambiente in Costituzione c’è già. La costante giurisprudenza della Corte Costituzionale ha chiarito che il “paesaggio” dell’articolo 9 è l’ambiente, la biosfera. E nell’articolo 117 riformato nel 2001 si cita esplicitamente la “tutela dell’ambiente”. Allora, perché perdere tempo con cose pleonastiche? In genere, quando i governi propongono di cambiare la Costituzione (cosa che non spetterebbe loro) è perché sanno che non la attueranno.

E sulla cultura? Molta facile retorica: “Sulla cultura stamattina ho detto che l’Italia è una grande potenza culturale riconosciuta in tutto il mondo”. Difficile dissentire: non vuole dire nulla. Più incoraggiante il passaggio (sempre della replica, significativamente) in cui Draghi dice che “soprattutto occorre rinforzare le tutele dei lavoratori (dello spettacolo, ndr) e va colta l’opportunità del Next generation per potenziare gli investimenti sul patrimonio culturale”. Bene, ma nulla della concretezza che ci si aspetta dall’uomo dei numeri: quanto, quando, come? Vedremo.

Più inquietante la continua associazione (sia nel discorso sia nella replica) dei concetti di cultura e identità: parola, quest’ultima, carissima alle destre neofasciste, e impronunciabile senza specificare cosa si intende. Ma c’è un punto in particolare, nelle dichiarazioni programmatiche mattutine, che squarcia il velo su cosa davvero l’ex banchiere pensi della tutela di ambiente e patrimonio culturale: “Come ha detto Papa Francesco: ‘Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento. E io penso che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi direbbe che è una cosa buona: siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore’. Proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale, richiede un approccio nuovo: digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio, cloud computing, scuole ed educazione, protezione dei territori, biodiversità, riscaldamento globale ed effetto serra, sono diverse facce di una sfida poliedrica che vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane. Anche nel nostro Paese alcuni modelli di crescita dovranno cambiare. Ad esempio, il modello di turismo, (…) che avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di preservare, cioè almeno non sciupare, città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato”.

Dunque, prima si cita il papa: ma in uno dei suoi rari “discorsi da prete”, non nei densissimi testi profetici delle encicliche. Poi si dice che l’ambiente va conciliato col “progresso” (leggi: crescita), con un elenco di cose diversissime, senza esplicitare la direzione politica o di scelta (non si lancia, ad esempio, la Grande Opera di messa in sicurezza del territorio che aspettiamo da decenni; né ci si pronuncia sulle grandi opere cementizie). Invece, si fa l’esempio del turismo, forse per non parlare di produzione industriale e modello energetico, ben altrimenti impattanti sul pianeta, e assai più imbarazzanti da affrontare. E sul turismo che si dice? Non cose chiare (tipo: “basta grandi navi in Laguna”), ma solo che se il turismo “sciupa” (scelta semantica tra il salottiero e il romantico) le città, non avremo più turismo: cioè la tutela del patrimonio culturale al servizio della valorizzazione economica, in quella micidiale inversione di senso e priorità che è il problema, in tutti i campi, non la soluzione.

Niente di sconvolgente, intendiamoci: sono i discorsi che sentiamo da decenni, di governo in governo. Non è stato certo un discorso da squalo. Semmai, è stato il discorso vegano di un lupo. Gli Agnelli possono stare tranquilli: ma solo quelli con la maiuscola.


Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 22 febbraio 2021

Fotografia del World Economic Forum da Wikimedia Commons