Paola Somma
Con sentenza del 16 febbraio, il Tribunale di Venezia ha definitivamente assegnato la proprietà di Santa Maria delle Grazie, comunemente denominata la Grazia, un’isola di circa quattro ettari a poca distanza da San Giorgio e dalla Giudecca, alla GiEsse Investment di Giovanna Stefanel, sorella dell’imprenditore del tessile trevigiano ed “entrata nel mondo degli affari immobiliari con il marito tedesco”.
Può, così, considerarsi conclusa quella trasformazione della Laguna sud di Venezia in un contenitore di villaggi per le vacanze dei ricchi, che nel 2007 Jenner Meletti prefigurava con queste parole: “le luci si spegneranno presto in quelli che furono i lazzaretti, gli istituti, i ricoveri della Serenissima. Al loro posto brilleranno le stelle degli hotel” (La Repubblica, 29 gennaio 2007).
La svendita della Grazia, oltre che uno dei tanti esempi di privatizzazione del nostro patrimonio, dei quali si compiace la stampa padronale: “a Venezia è caccia ai resort sulle isole… che… stanno vivendo un vero e proprio boom di gradimento e attirano investimenti esteri” (Sole 24 Ore, 15 maggio 2015), è anche il risultato della saldatura tra smantellamento del sistema sanitario pubblico e privatizzazione del governo del territorio, che caratterizza il sedicente virtuoso modello veneto.
Negli ultimi venticinque anni, infatti, i dirigenti della locale azienda sanitaria e gli amministratori comunali e regionali, intenzionati a trovare soldi da destinare al project financing, hanno congiuntamente lavorato per favorire la parallela dismissione di immobili, terreni e servizi. Particolarmente importante è stato il ruolo del comune di Venezia, perché la premessa indispensabile alla valorizzazione delle isole, un tempo sedi di strutture di ricovero e di cura, tanto da essere definite “l’arcipelago ospedaliero”, era la modifica alla normativa urbanistica.
L’avvio del percorso si può far risalire al 1997, quando, sostenendo che le destinazioni d’uso ospedaliere previste dal piano regolatore generale del 1962 erano “obsolete, da tempo cessate e non più opportune”, l’architetto Roberto D’Agostino, assessore all’urbanistica della giunta del sindaco Massimo Cacciari, predispose una variante per l’isola di San Clemente ed una per Sacca Sessola, dove rispettivamente si trovavano un ospedale psichiatrico e un grande tubercolosario; e successivamente una variante per l’intera “Laguna e le isole minori”. Tale documento, adottato nel 2004, durante l’amministrazione del sindaco Paolo Costa (che aveva confermato D’Agostino come assessore all’urbanistica), è un testo che dovrebbe trovar posto in un’antologia del pensiero filosofico al quale si ispirano i pubblici amministratori veneziani.
Bisogna “approntare un quadro urbanistico che consenta il riuso e sia già pronto quando si presentino i potenziali investitori”, si legge nella relazione che illustra i criteri e le modalità di intervento necessari per rendere i beni pubblici attraenti ai privati. Molte isole sono state abbandonate, dicono gli estensori della variante, perché le loro destinazioni non erano più appropriate, in quanto “si trattava di usi poveri che sfruttavano l’insularità per creare condizioni di segregazione rispetto al contesto urbano”, ed ora, essendo abbandonate, sono soggette “ad usi predatori… è la tragedia dei commons per cui i beni pubblici vengono sfruttati in maniera non sostenibile”.
Per rovesciare tale processo, e tenuto conto che il recupero è possibile “solo per funzioni che diano agli immobili un valore tale da rendere economicamente sostenibili i costi”, la variante indica una “gamma realistica di destinazioni compatibili con la valorizzazione di ogni isola e della porzione di laguna limitrofa”, fra le quali figurano “attrezzature ricettive e attrezzature collettive, non necessariamente di proprietà pubblica”. Inoltre, affinché il riuso non sia ostacolato dalla ”insufficiente capienza degli edifici esistenti”, è ammessa la realizzazione di “nuove strutture necessarie all’efficiente esplicazione delle funzioni previste dallo strumento urbanistico”.
Per i cittadini (i “predatori”, come ci considera l’amministrazione comunale) poco resta. La variante dice solo che “onde evitare che il recupero da parte dei privati si traduca nella impossibilità di accedere alle isole da parte della generalità dei cittadini, laddove ciò appare ragionevole è stata ricavata una porzione da destinare a spazio d’uso pubblico… che sarà regolato da convenzione tra privati proprietari e comune che stabiliranno orari e modalità compatibili con l’uso principale dell’isola”.
L’efficacia della revisione degli strumenti urbanistici è stata immediata.
Nel 1999, San Clemente è stata venduta ai Benetton ed ora appartiene al gruppo turco Permak Investments che vi gestisce il San Clemente Palace Kempinski Hotel, “un santuario di puro benessere, che offre relax totale… su un’isola privata che si sviluppa su più di sette ettari e con splendidi giardini, gli edifici storici del monastero e una chiesa risalente al XII secolo… un luogo dove arte e storia si incontrano nel massimo del lusso”.
Nello stesso anno, Sacca Sessola è stata venduta alla CIT Compagnia italiana del turismo che, nel 1998, era stata privatizzata dal governo Prodi e, usando soldi pubblici, si era lanciata in speculazioni nei settori più vari. Prima di fallire, la CIT aveva realizzato un albergo al grezzo, che ora è il JW Marriott Venice Resort & SPA. All’interno del complesso alberghiero, che offre “un panorama mozzafiato sullo skyline di Venezia”, ci sono anche una chiesetta, disponibile per matrimoni ed eventi, e un centro benessere con tre piscine, “un paradiso a portata di turista, dove il relax non è più un semplice lusso” (La Stampa, 29 giugno 2015). Nei messaggi pubblicitari dell’albergo, che per il gruppo Marriott rappresenta “la prima proprietà 5 stelle de luxe in Italia”, l’isola è descritta come “un luogo unico per rigenerarsi… carico di energia positiva, vi spira una brezza, già mediterranea nel gioco delle correnti, fresca e benefica”. Non a caso era un sanatorio!
Sempre nel 1999, la decisione dell’azienda sanitaria di chiudere l’ospedale per le malattie infettive, con la motivazione che “non va bene isolare gli infettivi”, segnò l’inizio della privatizzazione anche dell’isola della Grazia, un processo che all’epoca sembrava destinato a concludersi rapidamente, ma che ha subito ritardi imprevisti.
Nel 2001, la regione autorizzò l’azienda, diretta da Antonio Padoan, uomo di fiducia del presidente Giancarlo Galan, ad alienare l’isola “al fine di ricavare risorse necessarie al miglioramento delle strutture sanitarie al servizio dei cittadini veneziani”, per 20 milioni di euro, cifra poi dimezzata a 10 milioni con una nuova delibera del 2002.
Nel 2003, il comune di Venezia, desideroso di “offrire una corsia preferenziale”, adottò una variante (stralcio della variante per tutte le isole) per modificarne le destinazioni ammissibili e consentire la costruzione di due nuovi edifici.
Messa all’asta, l’isola fu venduta, nel 2007, per 8,7 milioni di euro, a Giovanna Stefanel, “onorata di poter fare qualcosa in un posto così magico, vicino a piazza san Marco… Venezia è il luogo più bello del mondo, tanto che ho preso casa in città, anche se è troppo piena di turisti”. Subito dopo, l’imprenditore veneziano Lino Cazzavillan offrì 10 milioni, l’azienda sanitaria riaprì la gara, la signora Stefanel minacciò di adire a vie legali, le parti raggiunsero un accordo e l’affare sembrò concluso.
Nel 2008, però, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Venezia e Laguna sottopose l’isola a vincolo paesaggistico, ai sensi del codice dei beni culturali del 2004. Il direttore Padoan, indignato, perché le prescrizioni della Soprintendenza, che chiedevano l’apertura al pubblico almeno tre giorni la settimana, “limitano fortemente l’utilizzo del bene”, minacciò di fare ricorso al Tar contro il “vincolo assurdo” e, nel 2010, inoltrò perfino un ricorso straordinario al capo dello stato.
Dal canto suo la signora Stefanel, oltre a ribadire la preoccupazione per il paventato viavai di estranei nella sua isola, cominciò ad avanzare la pretesa di accollare i costi di bonifica dei terreni ai contribuenti, il che diede avvio ad una nuova fase di trattative e scaramucce legali.
Neppure il generoso schema di convenzione, approvato nel 2012 dal comune (sindaco Giorgio Orsoni, assessore Ezio Micelli), che riduceva i vincoli alla “apertura della piazzetta e la possibilità di passaggio lungo un percorso prestabilito, per tre giorni alla settimana, più le festività, dalle 10 alle 11 e 30”, lasciando peraltro la piazzetta, per 60 giorni, all’uso esclusivo della struttura ricettiva, soddisfò appieno la signora Stefanel che, nel 2014, non si presentò davanti al notaio per la firma del contratto.
Il nuovo direttore dell’azienda sanitaria, allora, contattò la SAP, dell’imprenditore leccese Marino Congedo, che era arrivato secondo all’asta del 2007, e che era disposto a subentrare nell’acquisto. Ma la signora Stefanel, che non voleva rinunciare alla Grazia, “entrata nel mio cuore!”, fece causa all’azienda sanitaria e riottenne l’isola. Il conseguente ricorso della SAP fu accolto dal Tar del Veneto, che ritenne illegittimo “l’affidamento diretto senza gara” e sentenziò che bisognava rifare l’asta, ma il verdetto fu rovesciato, nel 2019, dal Consiglio di Stato.
In questa sequela di cause, sentenze, ricorsi, delibere, stupisce che nessun pubblico amministratore abbia messo in discussione il fulcro della questione, il peccato originale, si potrebbe dire, che ci ha privati della Grazia, e abbia rivendicato il diritto dei cittadini a non esserne espropriati. E anche la stampa locale si è sempre schierata dalla parte dei privati investitori, sostenendo, ad esempio, che “la Grazia è la storia emblematica delle complicazioni in cui si può impantanare la vendita di un bene pubblico… di come un piccolo gioiello possa finire nel dimenticatoio della rovina” (il Gazzettino, 7 gennaio 2015).
Ora, dopo la conclusione a lei favorevole dell’ultima vertenza legale, la signora Stefanel può procedere. I suoi architetti stanno lavorando a “un progetto mondiale, una struttura unica”, e finalmente “sarà garantito il recupero dell’isola nel rispetto della sua storia”, a dimostrazione che il “problema” delle isole non erano le funzioni povere, ma i clienti poveri. Non a caso, vengono reclamizzate come oasi di benessere psichico e fisico a disposizione dei ricchi turisti che le salvano dalla “tragedia dei commons”: relax totale a San Clemente (ex manicomio); aria buona a Sacca Sessola (ex sanatorio); splendido isolamento alla Grazia (ex malattie infettive).
Il prossimo verosimile passo sarà proporle come enclaves covid free, con la garanzia che le pubbliche autorità faranno rispettare il divieto di sbarco per i cittadini, predatori e infetti, per i quali non è prevista né grazia né giustizia.
Fotografia da Google Earth.