Il Maimonide salvato. Una lezione di storia e di civiltà

Diana Toccafondi

Come gli uomini, anche i libri, i manoscritti, i documenti hanno un loro destino. Di questo destino fanno parte gli sguardi, le volontà, le intelligenze di coloro che incontrano questi fragili e insostituibili oggetti e, più o meno consapevolmente, ne decidono la sorte: talvolta li difendono come tesori preziosi perché altri ne possano godere, talaltra ne provocano o ne consentono la dispersione o la distruzione. “Grandi cose accadono quando uomini e montagne si incontrano”, ha scritto William Blake. Non diversamente si potrebbe dire in riferimento alla sorte di questo manoscritto della Guida dei perplessi di Maimonide, vera e propria “montagna” del pensiero: nel momento in cui rischiava di lasciare l’Italia dopo più di 500 anni e di finire all’estero in mani private, ha incontrato la competenza e la passione di chi prende sul serio il lavoro di tutela del patrimonio culturale e, così facendo, prende sul serio la storia e il patto di cittadinanza che ci lega al nostro passato e ai valori costituzionali.

Una storia incredibile: leggendo, ci si rende conto di come oggi sia diventato facile per qualcuno – anche in posizioni di responsabilità – scivolare sul piano inclinato che, con impercettibili smottamenti progressivi, porta ad erodere i fondamenti dell’azione di tutela e adottare soluzioni transattive, accordi, comportamenti compiacenti, in una cornice di formale rispetto delle regole e di sostanziale dismissione dei propri compiti. E di come sia arduo, di quanta fatica comporti fare il contrario. Tanto più quando si tratta di una materia delicata e sottile come quella documentaria, che richiede di essere compresa nella sua natura complessa e stratificata. Eppure questo libro ci mostra anche quanto questa seconda strada sia affascinante, quanto coinvolga insieme intelligenza, scienza e perfino sentimento, quanto possa essere accompagnata da una buona dose di ironia e, alla fine, restituire appieno il senso e la gratificazione di un lavoro ben fatto.

Gli autori, Gino Famiglietti e Micaela Procaccia, ci accompagnano nella vicenda del Codice Maimonide ognuno con un proprio registro: le “giornate” che, come in un affresco, scandiscono una storia dal ritmo serratissimo (si va dal 23 maggio 2017 al 13 novembre 2017, più una coda successiva tra il 2018 e il 2019 per l’immancabile ricorso al TAR) sono articolate in due sezioni: la Cronaca (la vicenda nella sua cornice giuridica e operativa) e le Memorie (dietro le quinte degli uffici), in cui l’approccio storico-filologico, codicologico e archivistico ci apre ad una comprensione profonda del manoscritto, del suo contesto e delle sue relazioni con la comunità ebraica mantovana e la famiglia Norsa. Ma non si tratta di una mera divisione dei compiti, piuttosto di due sguardi convergenti: ben presto l’azione di tutela troverà nell’attenta analisi del manoscritto (e dell’atto di vendita in esso contenuto) le motivazioni per leggerlo nelle sue coordinate storiche e nella sua natura documentaria e, quindi, saprà resistere alle pressioni interne ed esterne e adottare le azioni conseguenti per la sua salvaguardia.

È singolare come la coesistenza di questi due registri narrativi faccia emergere uno degli aspetti più affascinanti di quello che è stato definito “il piacere dell’archivio” (piacere che, sia detto per inciso, rischia di rimanere riservato a pochi palati, vista la scarsa considerazione che gli archivi hanno nelle attuali politiche dei beni culturali, tanto da mettere a rischio la loro esistenza). Leggendo la storia del codice Maimonide (opera di autore sefardita, originariamente scritta in arabo, copiato da mano ashkenazita, posseduto per secoli da una famiglia italiana, rilegato nel 1512 in area italiana, con una legatura in cui gli studiosi riconoscono le tracce del sacco di Mantova del 1630) si ha la conferma che ogni manoscritto – nel suo contenuto ma anche nella sua materialità – è soprattutto un “oggetto di tempo”, una concrezione di tempi diversi.

Niente può essere trascurato se lo si vuole comprendere, se si vuol portare a buon fine il procedimento indiziario, seguire il filo e le tracce che ne compongono la storia: cancellazioni, riutilizzo di fogli, montaggi e smontaggi, legature… Ogni segno è portatore di senso, ma questo senso è fortemente intrecciato ad altri, fino a comporre un tessuto la cui bellezza risiede proprio nella complessa mescolanza dei motivi. Tutta la cultura è questo meticciato di tempi, di ispirazioni, di eventi, di genealogie. In questo volume si racconta una storia allo stesso tempo eccezionale e paradigmatica: una storia di difesa del patrimonio che è, insieme, la rivendicazione del fatto “storicamente inoppugnabile che la storia degli ebrei italiani è storia d’Italia e come tale va tutelata”. Una lezione di storia e di civiltà, insomma.

Una volta di più, non può che apparire pertanto equivoco e pericoloso quel concetto di “identità culturale” che aveva portato a definire questo codice, nell’accordo che ne autorizzava l’esportazione, “sostanzialmente estraneo alla cultura italiana”, come se la sua presenza in Italia per 500 anni “fosse un dettaglio privo di consistenza culturale, un mero accidente della storia”. Se prendiamo sul serio il tempo e la cultura, la tutela è proprio la protezione di quella splendida mescolanza da cui proveniamo e che ancora alimenta le nostre vite.


 

 

Leggi anche

Altri articoli