di Manlio Lilli
“Anche in Toscana ci sono cantieri aperti. Con archeologi al lavoro”. Daria Pasini, Presidente di Archeoimprese, l’associazione di categoria che rappresenta le imprese italiane che operano nel settore archeologico, racconta una storia quasi inimmaginabile ai tempi della pandemia.
Il Paese è sostanzialmente fermo. Quasi immobile, nel timore del contagio. Fatta eccezione per i medici soprattutto, naturalmente. E poche eccezione, tra le quali ci sono gli archeologi. Che non sono alle prese in aree archeologiche di riconosciuta rilevanza e neppure in siti nei quali si realizzano campagne di scavo annuali. Si trovano lungo le strade delle città, ora perlopiù deserte, a seguire le lavorazioni per la posa a terra di nuove utenze. Insomma, acqua, luce e gas. Oppure a seguire gli sterri che precedono la costruzione di opere pubbliche, dentro e fuori dai centri urbani. Si occupano di verificare che non s’intercettino resti antichi. Si chiama “sorveglianza archeologica” ed è forse l’occupazione principale per la gran parte degli archeologi, di ogni età. Continuano a lavorare molti operai, al fianco dei quali spesso ci sono proprio loro gli archeologi. Anche ora. Non sempre nel rispetto delle norme anti Coronavirus emanate dal Governo. Frequentemente senza mascherina e senza occhiali da cantiere. Il più delle volte senza tuta di protezione e privi di guanti. Soprattutto ad una distanza che non è mai quella di un metro, indicata come utile a non contrarre l’eventuale contagio. Inutile dire dei servizi igenici. Lavorano ancora. Nonostante la paura. I motivi? La precarietà da partita iva. I guadagni spesso esigui.
Molte imprese hanno deciso di non interrompere le lavorazioni. Ne hanno la possibilità. Nonostante anche l’Associazione nazionale costruttori edili critichi questa circostanza. “È impossibile garantire sicurezza e salute dei lavoratori secondo le ultime disposizioni del Governo. È necessario, dunque, un provvedimento immediato che consenta alle imprese di fermare i lavori”, ha detto il Presidente dell’Anci, Gabriele Buia secondo il quale “Dobbiamo prendere atto che non ci sono le condizioni per poter proseguire”. Ma intanto le attività proseguono. Così anche gli archeologi, quando previsti, devono esserci. A meno che gli ispettori delle Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio, nelle cui aree di competenza si realizzano le diverse attività, non abbiano richiesto una sospensione. Motivata dalla emergenza, ovviamente. Ne avrebbero la possibilità. A loro é in capo la tutela, che sono sostanzialmente impediti ad assicurare, considerata l’impossibilità ad effettuare sopralluoghi, a causa dei delle restrizioni del Governo sulla libera circolazione. La circostanza che da qualche parte gli escavatori siano al lavoro sembra suggerire che gli ispettori abbiano preso decisioni difformi.
Fare dei numeri è difficile. Come tentare di disegnare la geografia dei cantieri in attività. Le informazioni non sono molte e le testimonianze spesso vogliono restare senza paternità. Nonostante si rischi la vita, questa volta. “Su 134 cantieri, ne rimangono operativi 35. Molti di quelli chiusi si sono fermati proprio grazie alla nostra richiesta di messa in sicurezza. Gli archeologi a casa sono 104. Quelli ancora al lavora grossomodo 50“, sostiene Cristina Anghinetti, vice Presidente di Archeoimprese con delega alla quantificazione del fenomeno. Da quel che hanno potuto rilevare chiedendo alle imprese consociate disseminate dal Veneto alla Puglia, “Man mano che si scende verso il centro e il meridione sembra notarsi un normale rallentamento nell’applicazione delle norme di sicurezza”. In ogni caso, anche a Roma si lavora, anche se non ovunque e non si tratta certo di cantieri di emergenza.
“Ad oggi in tutta Italia i cantieri aperti sono decine, e disponiamo di una ricca documentazione fotografica delle violazioni che quotidianamente sono compiute rispetto alle procedure previste dall’emergenza: dal mancato rispetto della distanza di sicurezza nel caso di lavorazioni promiscue all’assenza dei DPI indicati dalla normativa, la casistica è ampia”. Nel comunicato che l’Associazione nazionale archeologi e la Federazione delle Consulte Universitarie di Archeologia hanno inviato il 16 marzo al Mibact e al Ministero della Salute a proposito della sicurezza dei professionisti nei cantieri e della sospensione dei lavori, si forniscono altri elementi. Per provare a capire.
“L’impressione è che anche in questa circostanza non ci sia la necessaria assunzione di responsabilità da parte degli attori in campo. Noi siamo riusciti a chiudere molti cantieri, dal momento che non potevano essere rispettate le norme di sicurezza imposte dal Governo, ma dalla nostra Associazione definite addirittura in precedenza”. Daria Pasini sottolinea il problema, evidenziandone le criticità.
Il Comunicato congiunto a tutela degli archeologi, sottoscritto dall’Associazione Nazionale Archeologi, Legacoop, Assotecnici, Confederazione italiana archeologi, Archeologi del pubblico impiego Mibact, Federazione archeologi professionisti e Archeoimprese, chiedeva “il rispetto delle normative di sicurezza” e “misure di sostegno e salvaguardia delle imprese e dei loro dipendenti, nonché dei professionisti”. Al Comunicato ha aderito anche la Consulta universitaria di Topografia antica. Peccato che finora sia rimasto inascoltata ogni richiesta.
Gli archeologi rimangono in cantiere. Questa volta più che in altri casi, senza alcuna tutela.
Articolo pubblicato sul blog Il barone rampante il 19 marzo 2020