Maria Cristina Gibelli
Per qualche giorno su “repubblica ultimo minuto” (redazione@repubblica.it) è comparsa la notizia che a Milano 130 volontari di McDonald’s hanno ripulito dai rifiuti il parco Annarumma e che l’assessore all’Ambiente e alla Mobilità ha espresso il suo apprezzamento per l’iniziativa. Ora, senza nulla togliere ai bravi dipendenti, sul fatto che lo abbiano fatto volontariamente si possono nutrire alcuni dubbi, dato il plauso dell’amministratore delegato della multinazionale del junk food Dario Baroni. Ma il quesito che mi sono posta leggendo e rileggendo la notizia è: cosa ha fatto Milano per meritarsi questa invasione dell’iniziativa privata su materie, come quella della tutela delle risorse di verde pubblico, che spetterebbero alla amministrazione comunale? Cosa ha fatto per meritarsi una amministrazione come quella di Beppe Sala che ringrazia McDonald’s? Perché la notizia, tutto sommato banale, mi irrita profondamente?
Forse perché sono prossime le elezioni comunali e, con ogni probabilità, il sindaco uscente sarà confermato; anche per la impresentabilità del suo sfidante di destra: il pediatra con la pistola. In realtà ho anche qualche risposta più argomentata per giustificare la mia irritazione. Qui le elencherò sommariamente.
In generale, perché Milano, al di là della retorica entusiastica quotidiana della stampa di regime, è una città sempre più invivibile e inospitale: soprattutto per i poveri, per chi non ce la fa. Più in particolare, perché la pianificazione urbanistica e la politica abitativa, che dovrebbero costituire gli strumenti cardine di una buona amministrazione, a Milano sono stati totalmente delegittimati e asserviti agli interessi immobiliari: a partire dalla Giunta Albertini in poi, con una continuità fra giunte di destra e giunte di sedicente ‘sinistra’ davvero inquietante. Milano è stata la prima della classe (ma è un primato drammatico) perché ha fatto da apripista della “macchina infernale della deregulation” (Berdini) poi presa a modello da altre città e regioni. Insomma, la pianificazione e gestione pubblica della città è ormai considerata un inutile orpello, un fastidioso intralcio da superare con procedure sempre più flessibili e deregolative secondo le quali di fatto è il privato che decide e l’amministrazione che facilita e ratifica.
Molti elettori, anche quelli attenti alle questioni sociali e spesso impegnati in attività di volontariato, continuano a credere che questa è la città migliore possibile e che Sala è stato un bravo sindaco: gentile, affabile e, soprattutto, vicino ai suoi cittadini. Questa ultima considerazione NON corrisponde alla realtà!
Analizzerò dunque un po’ più in dettaglio quali problemi e quali sfide strategiche l’amministrazione avrebbe potuto e dovuto affrontare (e che Sala non ha affrontato o ha fatto finta di farlo). Ne farò un breve elenco, con qualche sintetico riferimento comparativo a buone pratiche in ambito europeo. Un elenco che sfata la leggenda di un Sala di ‘sinistra’:
– il tema dell’abitare in città, e in primis dell’edilizia economica-popolare: Sala, con le sue politiche, ha legittimato un ulteriore imborghesimento di Milano e una incessante espulsione dei gruppi a minor reddito nell’hinterland; avrebbe potuto ricorrere alla legge 167 per garantire una offerta calmierata di case in affitto per le fasce deboli della popolazione, ma non l’ha fatto, né lo farà;
– il tema dei quartieri emarginati/difficili da riqualificare: un sindaco di sinistra avrebbe dovuto promuovere politiche e progetti per i luoghi dove si concentra la povertà assoluta e la marginalità; anche perché Milano se lo può/deve permettere; ma poco è stato fatto per affrontare il problema che, anzi, continua ad aggravarsi;
– il tema della deregolamentazione urbanistica tutta a favore degli interessi forti: è dagli anni ’80 dello scorso secolo che la “valorizzazione immobiliare” costituisce l’unico obiettivo strategico delle politiche urbanistiche milanesi, sempre più indifferenti alla domanda di servizi e alle disuguaglianze da colmare. I ‘grandi progetti’ di trasformazione/rigenerazione approvati e realizzati con iter speditivi e semplificati avrebbero dovuto e potuto comunque prevedere case per tutti (sia ricchi che poveri) e ospitare un mix di funzioni ricco e diversificato; l’opposto insomma degli orribili quartieroni di sedicente lusso come Porta Nuova e City Life e di tutti gli altri meno noti ma già realizzati; altre grandi occasioni di riqualificazione sono già state compromesse: ad esempio per i 7 ex Scali Ferroviari, la più rilevante risorsa territoriale urbana da riconvertire (1.300.000 mq); per il nuovo Stadio a San Siro che potrebbe consumare una area pubblica di 5 ha di verde profondo; e l’elenco potrebbe continuare. Anche in piena pandemia, la giunta ha approvato progetti di trasformazione inaccettabili come la cementificazione dell’area ex Trotto di San Siro!
– il tema delle case popolari: a Milano ci sono 25.000 cittadini in lista di attesa per un alloggio popolare e 80.000 appartenenti sfitti per lo più in mano a fondi immobiliari e multinazionali. A Parigi, l’edilizia economico popolare (grazie anche alla legge urbanistica del 2000, che ne impone il 20% in tutti i nuovi progetti di edilizia residenziale), ha raggiunto il 23,4% del totale del patrimonio abitativo in affitto; anche nei quartieri più centrali come il Marais e il VII Arrondissement. E la sindaca Hidalgo ha recentemente promosso la realizzazione di condomìni con un’offerta in locazione mista di appartamenti destinati al mercato e di edilizia economico-popolare. A Lione, oggi Lyon Métropole, l’emergenza e la segregazione abitativa dei soggetti più deboli è un tema prioritario affrontato dal governo locale, oggi metropolitano. In ogni progetto locale destinato nel piano a edilizia residenziale devono essere previsti i “secteurs de mixité sociale”; sono cioè prescritte quote non negoziabili di edilizia economico-popolare. In particolare, devono essere obbligatoriamente realizzate quote di alloggi in affitto articolate in PLAI (Prêt Locatif Aidé d’Intégration: riservato alle persone in situazione di grave precarietà), in PLUS (Prêt Locatif à Usage Social: l’HLM tradizionale) e in PLI (Prêt Locatif Intermédiaire): destinati a famiglie i cui redditi sono più elevati di quelli ordinari dell’HLM ma insufficienti per accedere al mercato privato. L’obiettivo per la metropoli è oggi di raggiungere una quota percentuale del 25% del patrimonio abitativo, ed è l’amministrazione metropolitana che definisce le modalità di intervento sia per gli aménageurs pubblici che per gli operatori privati;
– il tema dei progetti negoziati pubblico/privato: a partire dagli anni 2000, in molti contesti europei i progetti in partenariato si sono arricchiti di nuovi obiettivi: intensificazione (non densificazione tout court) urbana che significa nuovi spazi pubblici, mixité funzionale ricca (cruciale, appunto, l’edilizia sociale), addensamento in corrispondenza dei nodi del trasporto pubblico, recupero e riqualificazione di aree dismesse non centrali, contrasto al consumo di suolo e tutela delle risorse ambientali sia nelle aree più centrali che nelle aree di frangia urbana. Nei casi migliori, il pubblico ha garantito non soltanto l’intera copertura dei costi di urbanizzazione, ma anche una diversificazione funzionale ‘ottimale’ tassando per una percentuale elevata l’incremento di valore realizzato con la trasformazione; per destinarla alla città pubblica (ambiente, servizi, contrasto alla doppia velocità urbana); uno strumento potente anche per arginare il consumo di suolo e la dispersione insediativa.
Insomma, altrove, nelle buone pratiche internazionali, anche soltanto l’idea che l’attore privato possa interferire nei processi decisionali in materia urbanistica, che un ‘modello autoritativo’ possa essere sostituito da un modello totalmente negoziale – come autorizzato nella legislazione urbanistica lombarda – sarebbe impensabile; si pratica la negoziazione pubblico/privato sui progetti di rigenerazione urbana e di riuso di aree dismesse/residuali, ma sulla base di regole precise che garantiscono vantaggi collettivi in tema di inclusione sociale, di infrastrutture e servizi.
A Milano l’amministrazione Sala – in continuità con le precedenti- non ha mai negoziato con gli operatori e con le cordate immobiliari (in una parola, con i poteri forti), ma ha letteralmente ‘regalato’ volumetrie; ha svenduto le preziose risorse di aree libere o in via di dismissione ancora disponibili nella città compatta, e le preziose risorse territoriali ancora non urbanizzate della periferia, senza richiedere agli operatori immobiliari sostanziosi contributi fiscali per la città pubblica (oneri di urbanizzazione e contributi straordinari).
Lo strumento dell’Accordo di Programma, o qualunque altro tipo di procedura negoziale, dovrebbe invece garantire che l’attore pubblico mantenga la regia strategica dei progetti urbani e che sia pronto a bloccarli se non garantiscono vantaggi collettivi. Non è il caso di Milano e del suo sindaco attuale: e ciò suscita una maggiore indignazione perché il capoluogo lombardo ha il ‘vantaggio’ di essere attualmente l’unico nel nostro paese dove la finanza internazionale investe. Per dirla sinteticamente: se li blocchi, sono costretti a trattare. Regia strategica significa anche che il mix funzionale del progetto di rigenerazione/riqualificazione dovrebbe essere di competenza esclusiva dell’Amministrazione in stretta relazione con i cittadini. E il coinvolgimento formalizzato dei cittadini dovrebbe essere condizione sine qua non anche nelle procedure di approvazione dei progetti.
Il modello tedesco SoBoN (Monaco di Baviera) avrebbe potuto insegnare qualcosa ai nostri amministratori: si tratta di un protocollo di intesa, siglato a metà dagli anni ’90 dalla municipalità con i proprietari di aree da rigenerare, e da allora non più modificabile, che garantisce all’attore pubblico almeno il 31% del valore ricavato dalla trasformazione (e che viene ovviamente destinato alle abitazioni in affitto a basso costo, ai servizi di quartiere, al verde pubblico,…). A Monaco di Baviera, il modello, che oggi si è esteso a molte altre grandi città tedesche, è stato adottato per la rigenerazione di tutte le aree ferroviarie dismesse… proprio come per gli Scali Ferroviari di Milano!!! Si tratta in estrema sintesi di un modello molto virtuoso, poiché premia gli operatori privati portatori di interessi produttivi (le imprese di costruzione), anziché gli interessi patrimoniali dei grandi gruppi immobiliari; e perché ha garantito alla ‘città pubblica’ mediamente il 33% dell’incremento di valore realizzato attraverso il processo di trasformazione, mentre, ad esempio, da studi sui Programmi Integrati di Intervento milanesi, è emerso che il ‘vantaggio’ pubblico si aggira attorno all’8%;
– il tema della fiscalità urbanistica: gli oneri di urbanizzazione a Milano sono irrisori; la legge nazionale che con il “contributo straordinario” garantirebbe l’acquisizione al pubblico di almeno il 50% del valore di trasformazione non viene applicata. Occorrerebbe invece alzare il livello medio complessivo degli oneri per la generalità dei casi e, eventualmente, partendo da un livello alto, fare sconti mirati a chi si impegna a realizzare ‘funzioni deboli’ (case popolari, servizi di quartiere, verde di prossimità, …);
– il tema del welfare urbano: il sindaco dovrà ripensare il welfare urbano, ormai completamente delegato al privato sociale e al volontariato. Come utilizzerà le ingenti risorse che caleranno sulla città con il PNRR? Per la sedicente Milano internazionale o per l’inclusione sociale e la tutela dell’ambiente? Per il centro città o le periferie? Per una nuova urbanità o per la gentrification senza limiti? Se Sala sarà confermato la strada è già segnata: è quella che durante il suo primo mandato ha praticato senza ripensamenti: una sedicente smart city che offre occasioni a tutti; ma di fatto una città indifferente alla povertà urbana e alla tutela dell’ambiente;
– il tema della partecipazione democratica: occorrerebbe, come avviene nei paesi europei a più robusta tradizione di governo pubblico delle trasformazioni urbane, introdurre procedure partecipative formalizzate, a Milano sostituite da un marketing urbano totalmente affidato agli operatori immobiliari e alle ‘loro’ archistar che svolgono egregiamente il compito di abbindolare i cittadini, o a retoriche occasioni celebrative piene di promesse anziché di contenuti.
Concludo, così come ho iniziato, con un po’ di stupore e irritazione: come è possibile che l’inappropriato assessore all’Urbanistica della giunta in scadenza sia capolista nella lista PD? Ma scorrendo con attenzione i nomi e i programmi della diaspora dei candidati a sinistra, forse c’è una proposta interessante. Ma questo è un problema che riguarderà gli elettori milanesi stanchi del puro marketing elettorale e interessati a leggere i programmi dei contendenti.
Fotografia di Daniel Case da Wikimedia Commons.
Leggi anche
Altri articoli
Il Paesaggio, la Costituzione , gli attacchi alle Soprintendenze e le solidarietà pelose
Claudio Meloni – FP CGIL