Teodoro De Giorgio, Può il Museo Egizio di Torino diventare una palestra per pilates?

Era il 3 marzo 2014 quando il complesso museale del Santa Maria della Scala di Siena, antico ospedale di origine medievale, veniva trasformato in palestra in cui saltare liberamente e ballare la zumba al ritmo di musica disco tra affreschi, pale d’altare, dipinti e statue, col plauso – per giunta – delle pubbliche istituzioni. Lo spettacolo, come dimostrano ancora oggi i video che documentarono quell’iniziativa, fu altamente indecoroso, non solo perché venne compiuto in spregio dell’identità civica, religiosa e culturale di una città e di un popolo, quello senese, ma

quel che è peggio perché venne profanato un luogo ancora oggi intriso di sofferenza, come rivelano gli affreschi che mostrano la cura dei poveri e degli infermi. A distanza di tre anni, la storia si ripete in uno dei più importanti musei del mondo dedicati alla civiltà egizia: il Museo Egizio di Torino. Il 24 ottobre scorso la Galleria dei Re è stata adibita a palestra in cui praticare, in tenuta rigorosamente ginnica, stretching, pilates e l’immancabile zumba. Gente di tutte le età – come dimostra questo video – ha saltato, ballato, sudato e si è dissetata a ridosso delle millenarie sculture, circolando a piedi scalzi e appoggiando borse, indumenti e asciugamani umidi ovunque. Questo indegno spettacolo, associato all’assenza di adeguata sorveglianza e di misure a protezione delle opere d’arte, ha inevitabilmente prodotto l’alterazione del microclima interno alla struttura: le immissioni, infatti, di quantitativi elevati di umidità, generata dal sudore umano, di particellati inquinanti e di materiali organici, che tendono a depositarsi sulle superfici scultoree e a favorire la proliferazione di microrganismi, alterano i parametri microclimatici ideali per la conservazione delle opere. L’umidità, com’è noto, se non monitorata a dovere produce reazioni chimiche deteriogene, che accelerano il degrado delle superfici e determinano l’instabilità dei supporti. Per queste ragioni, il mantenimento all’interno dei musei e degli edifici storici di un microclima ottimale è condizione indispensabile (e imprescindibile) per garantire la sopravvivenza del patrimonio culturale. Condizione che non può essere trascurata neppure per il breve arco di una serata.

Ora, non ci vorrebbe uno storico dell’arte per comprendere quanto queste iniziative siano per loro natura fuori luogo in un museo, che non è un contenitore di manifestazioni o di attività sportive a corpo libero ma un luogo che acquisisce, conserva ed espone le opere d’arte al fine di produrre e di favorire la conoscenza. Finalità che, a giudicare da questa tipologia di eventi, negli ultimi tempi non sembra essere tra le priorità istituzionali dei musei italiani, compresi quelli ecclesiastici, come nel caso – nientemeno – del Museo Diocesano di Milano che nella sala secolare dell’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento organizza, e promuove anche sul proprio sito web ufficiale, corsi di pilates circondati dai dipinti sei-settecenteschi dedicati ai miracoli operati dall’Eucaristia e destinati a essere esposti in Duomo in occasione della solennità del Corpus Domini.

 E se il Codice dei Beni culturali è fermo nel sostenere che i beni culturali non possono essere adibiti a usi incompatibili col loro carattere storico o artistico o che siano pregiudizievoli per la loro conservazione (articolo 170) resta da appurare quali ragioni abbiano spinto la direzione del Museo torinese a dare il via libera a questa sconsiderata iniziativa e, soprattutto, se la locale Soprintendenza sia stata preventivamente informata e se abbia rilasciato parere positivo.
 I musei convertiti in palestre in cui tonificare i muscoli “circondati da un’atmosfera suggestiva” (cit.) rappresentano l’ennesimo capitolo di una crisi culturale volta a spersonalizzare i luoghi della cultura, a privarli delle loro reali funzioni educative e a trasformarli da monumenti della civiltà in monumenti dell’inciviltà.

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