Un matrimonio in reggia: funerale del bene comune

Tomaso Montanari

“Mi scusi, potrebbe chiudere il museo al pubblico per un giorno intero? Vorrei affittarlo come location per il mio matrimonio?”. No, non è una sfrontata domanda posta da una delle terrificanti sposine deliziosamente seviziate da Costantino della Gherardesca in Quattro matrimoni. È, invece, quel che dev’essere successo alle Gallerie Estensi di Modena, visto che sabato 1° ottobre il pubblico servizio della reggia di Sassuolo è rimasto interrotto – l’entrata interdetta ai cittadini che pure la mantengono con le loro tasse –proprio a causa di una festa nuziale, con tanto di trampolieri e acrobati sotto le volte affrescate, come svela un video che spopola sui social.

Prima che accadesse, Italia Nostra aveva scritto alla direzione delle Gallerie una lettera accorata e preoccupata nella quale, tra l’altro, si legge: “Si deve dunque intendere che pure le sale del museo saranno interessate direttamente o indirettamente dalla organizzazione della privata festa conviviale, mentre non è dato in assoluto escludere che da un simile impiego possa derivare un qualche danno alla integrità delle pareti affrescate. È vero che il codice dei beni culturali contempla anche ‘l’uso individuale di beni culturali appartenenti allo Stato’, ma ‘per finalità compatibili con la loro destinazione culturale’ (art.106). È una eccezione al principio della fruizione pubblica del demanio culturale dello Stato e dunque crediamo che se ne debba fare una rigorosa applicazione nella valutazione di compatibilità con la speciale destinazione culturale, perché non ne risulti in alcun modo oscurato il carattere del patrimonio culturale pubblico come bene di tutti, inciso nella sua stessa identità, ribelle ad impieghi condizionati (in relazione al previsto canone d’uso) alla disponibilità economica del privato che richiede l’impiego individuale”.

Insomma, non solo bisogna stare attenti che gli eventuali mangiatori di fuoco non facciano flambé gli affreschi barocchi, ma anche bisogna evitare di interferire con l’orario di apertura del monumento: perché privatizzare un monumento di tutti è, come avrebbe detto Benigni quando era nei suoi cenci, “maleducazione del popolo italiano”. Il Regolamento per la concessione in uso degli spazi museali che le Gallerie Estensi si sono date, non si preoccupa dell’interruzione del pubblico servizio, e non è particolarmente esigente nel vagliare il tipo di eventi, bastandogli “che siano rispettati i valori artistici e storici dell’immobile e degli spazi concessi in uso”. Anche una frase generica come questa, tuttavia, pone alcuni problemi non indifferenti. I valori artistici e storici di un immobile pubblico e aperto al pubblico sono rispettati se quell’immobile viene chiuso?

Le più profonde riflessioni sulla valorizzazione hanno chiarito che la si deve intendere come uno “strumento di sviluppo sociale”, capace di far assumere al patrimonio “una valenza collettiva, grazie alla trasformazione… della proprietà… che si realizza nei beni culturali: beni pubblici proprio in quanto pubblica ne è la fruizione”. E la fruizione va intesa come conoscenza, il cui aumento porta allo sviluppo della cultura. Una interpretazione retta del rapporto tra tutela e valorizzazione, e una piena del senso di quest’ultima, porta a ritenere che un bene culturale che non si può conoscere vede danneggiata, fino all’annichilmento, la sua funzione di produzione di conoscenza e di sviluppo della cultura, una funzione indistinguibile dallo statuto stesso di bene culturale. Ora, l’uso individuale di un bene culturale pubblico è indebito (come afferma di nuovo Italia Nostra in un esposto presentato, dopo la festa, a Soprintendenza e Direzione museale regionale) perché priva tutti gli altri membri della comunità di un diritto. E l’idea che, pagando, qualcuno possa togliere diritti a tutti gli altri è un segno della regressione morale e politica alla quale è ormai asservito il patrimonio storico e artistico della nazione.

Il duca estense a cui si deve lo splendore della reggia di Sassuolo era Francesco I, che da capo di un piccolo Stato italiano riuscì a farsi ritrarre da due giganti come Velázquez e Bernini, e che a quest’ultimo estorse disegni e modelli proprio per le fontane di Sassuolo. Era un gran conoscitore d’arte, ma anche un politico del tutto inaffidabile. Un acuto storico dell’arte capì che, nel suo ritratto di Velázquez, “questo aspetto superbo e un po’ arrogante, i capelli neri e ricciuti che ricadono a onde sulla fronte, i baffi ancora sottili piegati all’insù, il colletto e il Toson d’oro rivelano l’italiano docile e commediante”. Oggi è il ritratto collettivo dell’Italia tratteggiato dal governo del nostro straordinario patrimonio culturale a mostrarci insieme arroganti (verso chi non può pagare) e commedianti (nella ridicola retorica della valorizzazione): la verità è che cosa davvero sia l’interesse pubblico non l’abbiamo ancora imparato.


Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 17 ottobre 2022. Fotografia da Wikimedia Commons.

 

 

Leggi anche

Altri articoli