Tomaso Montanari
Ai poeti, agli artisti, ai matti: una lunga tradizione consegna proprio a loro la libertà di dire la verità. Per Paolo Veronese era pacifico: “Noi altri pittori ci prendiamo la licenza che si prendono i poeti e i matti”. Un altro veneto, il poeta Andrea Zanzotto, esercitava la parresia con disarmante candore, andando al cuore del buco nero che inghiotte il nostro tempo: “Quel paesaggio della mia infanzia era ben coltivato, i contadini ci lavoravano lasciando intatto il fiorire della terra. Poi, un po’ alla volta, si è cominciato a sfruttarla il più possibile, e dagli anni Ottanta stiamo assistendo a un autentico degrado di fronte al quale non possiamo non indignarci: bisogna fermare lo scempio che vede ogni area verde rimasta come area da edificare. Una volta esistevano i campi di sterminio, oggi siamo allo sterminio dei campi”. Uno dei frutti letali della guerra è cancellare dall’agenda un pericolo ancora più grande, e collegato alla stessa volontà di potenza: il consumo di suolo, la crescita infinita, il cambiamento climatico, il collasso del pianeta. Aveva ragione Zanzotto: non bisogna stancarsi di denunciare lo sterminio dei campi.
Venerdì scorso il nostro messianico presidente del Consiglio è andato in visita all’azienda agricola Masi, a Sant’Ambrogio di Valpolicella: a benedire la costruzione di un enorme edificio che “sta dove non deve stare” (come il biblico “abominio della desolazione”). Quei matti che ancora si spendono per il bene comune nelle associazioni in difesa del territorio dalla Valpolicella e dalla Valpantena hanno scritto al Soprintendente di Verona “per discutere quanto di rovinoso è avvenuto e sta avvenendo nelle nostre vallate a motivo dei continui oltraggi nei confronti del nostro paesaggio, della sua storia, della sua bellezza”. Il problema sono “le recenti aggressioni del nostro territorio, nello specifico: la costruzione del fabbricato del gruppo Masi Agricola spa a Monteleone, nel comune di Sant’Ambrogio di Valpolicella, per il quale ci chiediamo se il vincolo paesistico esistente in Valpolicella sia rimasto nei fatti lettera morta anche per la Soprintendenza. A tal riguardo, le citiamo un articolo sul quotidiano l’Arena di ottobre del 1965, in cui lo scrittore e giornalista Giuseppe Silvestri, dopo aver descritto il depauperamento del paesaggio avvenuto in quegli anni, scriveva: ‘Si e già detto che, dopo San Pietro e fino a Bure, libera e ancora la visuale, dalla strada, sulla valle di Fumane e sui colli e i monti che la circondano, fino alle cime del Pastello e del lontano Corno d’Aquilio. Auguriamoci che almeno questa veduta panoramica venga conservata, come quella assai più ristretta, ma non meno suggestiva, sulla valletta di Gargagnago, dominata dal colle di San Giorgio e dall’antichissimo villaggio con la sua famosa pieve barbarica”. Purtroppo – concludono le associazioni – dobbiamo constare che ora, con la nuova costruzione del gruppo Masi Agricola SPA, quella vista è stata irrimediabilmente compromessa”.
A proposito di poeti, nel dibattito è intervenuto Pieralvise di Serego Alighieri (discendente diretto di quell’Alighieri, e produttore di vino in Valpolicella come tutti i suoi avi fino da Pietro, il figlio di Dante, che lì si stabilì nel 1353), ricordando che “da sempre quando si pensa ad una cantina credo si immaginino locali situati preferibilmente sotto terra, nascosti alla vista, oggi sembra invece che tutte queste caratteristiche non debbano essere le più adatte: architetti di fama o aspiranti tali si scatenano, incoraggiati dai desideri dei loro vinicoli committenti, gareggiando con i tradizionali consumatori di suolo nel progettare edifici pretenziosi impattanti spesso estranei a quanto li circonda. I risultati sono davanti ai nostri occhi e lo saranno anche davanti a quelli di chi verrà dopo di noi: ferite difficilmente rimarginabili, e appropriazioni a norma di legge di storia, suolo, natura paesaggi e territori”.
Una delle voci più dolenti e profonde è quella dello scrittore Gabriele Fedrigo, appassionato difensore della sua terra. Qualche anno fa espose due striscioni con su scritto “Basta cemento” e “Acqua e aria sane”, e il suo Comune lo diffidò perché avrebbe attentato al decoro urbano: quel comune è Negrar, quello che ha dato origine alla parola “negrarizzazione”, che vuole dire “urbanizzazione speculativa, e al di fuori di ogni controllo” (Dizionario Treccani). Oggi Fedrigo (in Valpolicella delle mie brame) si interroga sull’edificio in costruzione a Montolon: “Ma non sono i Masi i paladini della tradizione, della bellezza del paesaggio, del buon gusto, della sostenibilità, della difesa e del dialogo con il territorio. E allora? E allora la domanda che mi faccio e: di che dialogo stiamo parlando? Chi dialoga con chi?”
Parlando ai bambini di una scuola veneta, quella stessa mattina, Draghi ha detto che bisogna chiedersi ogni giorno “Oggi cosa ho combinato?”. Fermare il cemento, invece che benedirlo, sarebbe stata una buona idea.
Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 23 maggio2022. Fotografia dal sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
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