Leonardo Bison
Il 10 dicembre scorso la direzione generale Bilancio del ministero della Cultura ha diffuso a tutti gli uffici una circolare. Riguardava le erogazioni liberali (donazioni) raccolte nell’anno 2020, per finalità culturali. Non sono stati fatti comunicati stampa, ma più di qualche funzionario ha letto la circolare con amarezza e frustrazione. Del totale di oltre 21 milioni di euro raccolti, solo 1.500 in tutto sono andati a finanziare istituti e attività di Marche, Puglia e Sardegna, mentre 0 euro sono arrivati in Sicilia, Calabria, Molise, Abruzzo, Basilicata e Val d’aosta.
Ci si riferisce a “istituti e attività” perché queste erogazioni liberali, deducibili a livello fiscale ai sensi del Testo Unico della Imposte sui Redditi, pur monitorate dal ministero non vanno al ministero stesso, ma a “Stato, regioni, enti locali territoriali, enti o istituzioni pubbliche, comitati organizzatori appositamente istituiti con decreto, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute senza scopo di lucro, che svolgono o promuovono attività di studio, di ricerca e di documentazione di rilevante valore culturale e artistico o che organizzano e realizzano attività culturali”. E quindi, seppur in Toscana siano stati raccolti oltre 4 milioni di euro, la sola Fondazione Peccioli ne ha fatti propri 3.770.000; nel Lazio, su 2,8 milioni, oltre due sono andati alla sola Fondazione Accademia di Santa Cecilia; in Lombardia più di metà dei quasi 6 milioni raccolti sono a favore di due sole fondazioni, Teatro alla Scala e Bracco.
Sembra piuttosto chiaro che la presenza di un’imprenditoria diffusa sul territorio conti, ma non sia da sola in grado di spiegare la mole di erogazioni liberali, connesse anche con la presenza di Fondazioni con finalità culturali: tra i maggiori donatori troviamo le fondazioni bancarie e le aziende che partecipano a quelle stesse fondazioni culturali, e dunque possono contribuire a decidere dove e come saranno indirizzati i fondi, nonostante l’evidente conflitto di interessi.
Un problema che replica quello che si registra con la più recente legge sull’artbonus, “il più forte incentivo fiscale che ci sia in Europa per favorire il mecenatismo culturale”, come definito dal ministro Dario Franceschini, che consente un credito d’imposta (sconto sulle tasse) del 65% a chi dona ma, come le altre erogazioni liberali, consente di scegliere chi sarà il beneficiario. Ed ecco quindi che il patrimonio meno noto, che garantisce meno pubblicità, e il patrimonio che si trova in regioni con pochi privati con capacità economiche importanti, diventa molto meno attraente. E la possibilità di donare a Fondazioni, di cui si può diventare soggetti partecipanti e esercitare un controllo, crea una concorrenza sleale impossibile da sostenere per Soprintendenze e Comuni.
Eppure basterebbe così poco: ad esempio lasciare gli incentivi fiscali, ma scegliere che una parte dei fondi così raccolti sia reinvestita dal Ministero nei territori e nei progetti più bisognosi, con una progettualità che superi le esigenze o i desideri dei donatori. Per evitare che chi è indietro, resti sempre più indietro.
Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 17 gennaio 2022. Fotografia di BTO da Flickr.
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