Puglia: il sapore balneare della valorizzazione

Fabio Grasso

In Puglia è stato proposto di candidare al World Heritage List i rosoni presenti sul territorio regionale. Questa, infatti, l’idea avanzata da una locale associazione che ha trovato l’appoggio addirittura della Regione e del suo presidente Michele Emiliano il quale ha dichiarato: «Pensare che i Rosoni di Puglia possano essere riconosciuti Patrimonio Mondiale Unesco è una cosa di una bellezza entusiasmante, un patrimonio identitario pugliese unico nel suo genere, che trova il modo di essere ulteriormente valorizzato e promosso».

Difficile che alla base di simile proposta ci sia un sottile gioco fondato sulla sinèddoche dove una parte sta per il tutto come noto. Limitante, se non addirittura impossibile e paradossale, è separare le chiese dai loro elementi architettonici in una proposta che potrebbe essere anche interessante se correttamente strutturata. Appare davvero così insostenibile sottoporre, invece, all’attenzione dell’Unesco non solo i rosoni ma le intere chiese (spesso cattedrali) che quelle parti “rosate” contengono e, in molti casi, addirittura ab origine? Non sarebbe, forse, più coerente con la storia?

Al di là del particolarismo della cronaca, tale vicenda solleva, una volta di più, il problema del rapporto fra cultura e sponsor politici. Questi ultimi appaiono travolti, oggi più che mai, da un’euforia post-pandemica, una vera e propria esaltazione dai contorni mistici che non concede spazio a reali, preliminari, oggettive valutazioni critiche dei cosiddetti “eventi culturali” da finanziare o semplicemente sponsorizzare (e mai quest’ultimo verbo da “commercial” fu più appropriato).

 A tal proposito, nei giorni scorsi, grazie ad un finanziamento sempre della Regione Puglia, nel castello di Gallipoli è stata inaugurata una mostra davvero curiosa, definita con una sottilissima, forse inconsapevole ironia «una mostra di mostre» in quanto non fondata su una ricerca ex novo ma sul “riciclo” di mostre realizzate già nei passati anni nello stesso castello.

Da un quarantennio circa, almeno, paghiamo lo scotto della crisi del sistema scolastico. E in questo decadimento educativo, il parlare e pensare per immagini – che la scuola dovrebbe formare attraverso lo studio della storia dell’arte – si è costruito prevalentemente, se non addirittura esclusivamente, attraverso le modalità della TV commerciale. 

Esemplari in tal senso sono i due casi dei rosoni e della mostra gallipolina: a-estetici e anestetizzanti. Tali esperienze dicono, però, anche di più a volerle  leggere in controluce. Il modo di esporre la storia, le parole e i costrutti scelti da questi curiosi a-valorizzatori del patrimonio culturale, prima di tutto, infatti, racconta di loro stessi e di quale idea costoro abbiano dei visitatori. Questi ultimi sono trattati da clienti e non, come dovrebbe essere, da cittadini ovvero quei soggetti destinatari della nostra Carta Costituzionale e del suo articolo 9.


Fotografia di Fabio Grasso.

 

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