«La politica ha solo subito il mercato. Così Firenze ha superato Venezia»

Marzio Fatucchi

«Non mi stupisce. Ormai è chiaro: a Firenze domina il turismo, è un “pigliatutto”». Vezio De Lucia, urbanista di fama internazionale, ex assessore della prima giunta a Napoli di Bassolino, legge con noi le cronache delle vicende di Villa Basilewsky e dell’ex Capitol tra lo sconforto e la rassegnazione. Poi si ferma: «Eppure la politica potrebbe unire un po’ di utopia alla concretezza, non ridursi solo a vedere il mercato agire».

È così pessimista?
«Queste due vicende dimostrano che l’urbanistica a Firenze si presenta solo come valorizzazione immobiliare, vendita di beni monumentali e trasformazioni votate al turismo. C’è sempre il turismo come voce dominate».

Però non ci si può stupire, architetto: persino l’Unione europea ha definito Firenze «visitor center». E che sia turistica non è un male.
«Però Firenze sta scavalcando Venezia in questa gara. Non seguo quotidianamente le vicende delle due città ma da anni ormai le compravendite immobiliari nella città veneta sono meno presenti, nella cronaca, di quanto succede a Firenze. Firenze è dominata dall’economia turistica. Dalla valorizzazione immobiliare a fini turistici, per l’esattezza».

Con i vecchi flussi di turismo (che pare torneranno) che portano soprattutto margini di profitto elevatissimi per chi investe nel settore, c’è ancora possibilità di fare pianificazione urbanistica?
«Beh, a questo servirebbe la pianificazione urbanistica: a contenere gli interessi privati in un contesto in cui comanderebbero altrimenti solo gli interessi privati, il gioco selvaggio del mercato. Ci sono tutte le regole fatte, a partire dalle leggi nazionali a quelle regionali, per privilegiare l’interesse pubblico. Non richiede eroismo. Coraggio, magari, sì».

Ma converrà con me che quando ci sono interessi economici così alti e costi immobiliari così elevati, c’è un aut aut: se non si danno le trasformazioni che interessano al mercato, gli immobili restano vuoti.
«Lei usa il linguaggio dell’immobiliarista e non del sindaco».

Non sono sindaco, ma parlo il linguaggio della realtà, architetto. Se non si trovano privati, il pubblico non è in grado di fare oggi questi investimenti…
«La realtà è anche la volontà politica. Ci sono altri elementi di cui tenere conto: dalla funzionalità dei trasporti, ai servizi pubblici, al verde. A Firenze io vedo un Comune che gioca un ruolo da immobiliarista. Se non erro, il sindaco è andato in Europa, alle fiere immobiliari, come già fatto dal Comune di Roma, con delle belle schede per raccontare come si potevano trasformare tante proprietà private e pubbliche. Non mi pare sia questa una funzione prevalente dell’amministrazione comunale».

Viviamo in una economia di mercato. L’alternativa, numeri alla mano, è che non si faccia nulla e si creino buchi neri, no?
«Vero: l’urbanistica si fa con i numeri, come diceva Cederna. Ed è una questione di rapporti di forza. Leggendo le vostre cronache, non si parla però mai di alternative socialmente interessanti. Nell’atto di donazione di villa Basilewsky c’era una indicazione che era almeno un obbligo morale. Mi ha lasciato sconcertato la disinvoltura con cui è stata venduta».

La politica insomma ha sbagliato, secondo lei.
«La politica nel senso più generale: su questi temi c’era un tempo più partecipazione e dibattito a Firenze. C’erano dibattiti politici, movimenti, associazioni…».

C’è un esempio, ormai l’ultimo, di questa visione: unire case popolari, centri culturali ed altro alle Murate.
«Lì ci sono utopia, valori simbolici, il luogo. Ha giovato all’immagine di Firenze».

Ma era dannatamente costoso e complicato farlo allora, figuriamoci ripeterlo oggi: non è così?
«Certo un conto è farla una volta sola, altro ripeterlo. Ma se non ci si prova neanche…».

Ha un consiglio per arginare la rendita immobiliare e riportare residenza in centro?
«Molto dipende dalle politiche nazionali, vedi la legge per frenare gli Airbnb. C’è un quadro di riferimento che non aiuta, nelle situazioni locali. Detto questo continuo a pensare che si debba metter al primo punto le esigenze collettive, a partire dai cittadini più sfavoriti. E provarci, almeno».

Il Comune, nel nuovo Piano operativo, punta a trovare immobili per l’housing sociale in centro storico: d’accordo?
«Ma non sono case popolari e nel termine housing sociale ci può stare dentro tutto e il contrario di tutto. Cancellare la dizione case popolari è già un segnale: l’housing sociale si fa presto a distoglierlo velocemente verso interessi privati e, col paravento dell’inglese, a rigirare la frittata».


 

Articolo pubblicato su “Corriere Fiorentino” il 30 maggio 2021. Fotografia di Choi Hyunwoong da Pixabay.

 

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