Emergenza Cultura fa proprio l’invito di Tomaso Montanari a tenere vivo il passato dentro i nostri occhi per costruire un futuro diverso, e augura alle sue lettrici e ai sui lettori un 2021 di istruzione, cultura e arte ‘dal vivo’.
di Tomaso Montanari
Giano era un dio antico. Non greco, ma italico, latino: abitava su un colle di Roma (il Gianicolo).
Dio della porta (ianua) e dei passaggi di luogo, dei collegamenti: delle soglie, degli archi che forano le mura urbane, dei sottopassi e dei vicoli. Dio di qualunque cosa ne mettesse in comunicazione altre due.
Dio dei passaggi di tempo: di ogni tempo che porti a un altro tempo. Dio degli inizi: che dette il suo nome al primo mese dopo il solstizio d’inverno, poi divenuto primo mese dell’anno: gennaio.
Dio con due teste, bifronte: una rivolta a oriente, dove tutto comincia; e una a occidente, dove tutto si compie.
Dio dei bivi e delle scelte. Il cui tempio era chiuso quando Roma era in pace, ed era invece spalancato quando Marte irrompeva a spezzare vite e destini.
Come in questa scena che Bertoldo di Giovanni, che volava con le ali di Donatello, plasmò per il fregio all’antica che celebrava Lorenzo il Magnifico nella sua villa imperiale. Lorenzo, nato un primo gennaio e attentissimo a ogni scelta, ad ogni soglia. Perfetto simbolo, questo Giano svelto e bellissimo, del Rinascimento: che con una fronte scrutava l’antico, con l’altra costruiva il moderno.
E noi, in questo passaggio di anni, cosa chiediamo a Giano? Certo, di guardare lontano: di portarci via da dolore, malattia, morte, ingiustizia. Da fiumi di parole insensate, da lacrime e speranze tradite.
Giano, a metà, ci ascolta: e guarda avanti, verso l’orizzonte che lungo dodici mesi attirerà i nostri desideri e le nostre maledizioni. Ma per metà, invece, non ci dà retta. Una faccia è rivolta al passato, e lo fissa: come l’angelo nuovo di Benjamin.
Ed è così che Giano ci salva: noi vorremmo dimenticarlo, questo 2020. E lui no, continua a tenerci gli occhi piantati. Sa che nell’oblìo non c’è salvezza. Che solo tenendo vivo il passato dentro i nostri occhi possiamo costruire un futuro diverso.
E quante cose di questo anno terribile non dobbiamo scordarci. La cura, per esempio. Che vuol dire, certo, «complesso dei mezzi terapeutici e delle prescrizioni messi in opera dal medico al fine di guarire una malattia». Ma anche «assistenza premurosa, protezione sollecita, riguardo, vigilanza». Questo no, non dobbiamo dimenticarlo: e se ci riusciamo, allora, con la faccia che guarda avanti potremmo perfino vedere un altro significato della cura, quello di «rimedio estremo per superare uno stato morale, o una situazione politica o sociale particolarmente gravi».
Qualunque cosa ci aspetti nel 2021, la forza che ci serve per affrontarla la attingeremo dalle cicatrici dell’anno che muore. Come sapeva Giano: dio delle soglie, e dei passaggi.
Articolo pubblicato su “il venerdì” del 31 dicembre 2020
Immagine da Wikimedia Commons: Bertoldo di Giovanni e collaboratori, Marte apre il tempio di Giano, 1490 ca.