Salviamo la Torre di Pasolini dal consumismo dei musei

di Tomaso Montanari

“Casale ottimo stato, Soriano nel Cimino, 800mila euro. Il breve sentiero, circondato da una vigorosa vegetazione, arriva al grande piazzale di circa 12.000 mq sul quale insistono le mura di cinta dell’antico Castello con l’alta Torre di Chia delimitanti l’intera proprietà. Dalla parte opposta, l’altra piccola Torre e la dimora pasoliniana che si compone di un blocco centrale – l’abitazione – e di una dépendance con una superficie totale coperta di circa 185 mq. Lo stato conservativo è ottimo, si presenta ristrutturato e già pronto per essere abitato”. È con queste parole che Immobiliare.it mette in vendita la torre medioevale della Tuscia nei pressi della quale Pier Paolo Pasolini aveva girato alcune scene del film Il Vangelo secondo Matteo (1964), e che così cantava poco dopo: “Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti, / che io vorrei essere scrittore di musica, / vivere con degli strumenti / dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare, / nel paesaggio più bello del mondo, / dove l’Ariosto sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta / innocenza di querce, colli, acque e botri”.

Nel 1970 gli riuscì, infine, di comprarla, e nelle quiete amata delle sue stanze egli scrisse i fulminanti articoli raccolti nelle Lettere Luterane, e il suo ultimo capolavoro, Petrolio. Cinquant’anni dopo, i costi di manutenzione hanno infine costretto gli eredi, che invano avevano provato a intraprendere altre strade, a mettere in vendita la Torre. Di fronte al fatto compiuto, tutte le istituzioni, fin qui interpellate senza esito, sembrano essersi svegliate.

Giovedì scorso, il presidente del Lazio Nicola Zingaretti ha diffuso una nota in cui si legge che “dopo aver appreso della volontà della famiglia di Pier Paolo Pasolini di mettere in vendita la Torre di Chia a Soriano nel Cimino per l’insostenibilità dei costi di gestione, ci siamo attivati avviando un percorso di interlocuzione con il Mibact per la salvaguardia e la tutela del sito. (…) Ringraziamo il ministero per l’attenzione che sta dedicando alla vicenda e ribadiamo il nostro interesse a collaborare e sostenere ogni progetto di valorizzazione che si vorrà mettere in campo”. Che Regione e Mibact si siano messi in moto è un’ottima notizia, e c’è da sperare che presto la Torre di Chia sia un bene pubblico. Quel che, tuttavia, desta qualche preoccupazione è proprio il “progetto di valorizzazione” cui allude Zingaretti.

Nell’agosto del 1975, proprio lì Pasolini scrisse che “aver governato male significa dunque non aver saputo far sì che i beni superflui fossero un fatto (come oggettivamente dovrebbe essere) positivo: ma che, al contrario, fossero un fatto corruttore, di selvaggia distruzione di valori, di deterioramento antropologico, ecologico, civile”. E l’anno prima aveva scritto la celeberrima pagina che culminava nell’asciutta presa di coscienza che “se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la ‘società dei consumi’ ha bene realizzato il fascismo”.

Ebbene, è molto triste doverlo riconoscere, ma gli ultimi anni hanno visto una decisiva accelerazione nell’allineamento del (cattivo) governo del patrimonio culturale rispetto al totalitarismo del consumo e della mercificazione. Oggi la ‘valorizzazione’ dei musei è esattamente il processo che riduce – anche lì, anche nella cultura – i cittadini a clienti, le donne e gli uomini a destinatari di un marketing, ad acquirenti di una cultura che non è più liberazione, ma invece proprio un fattore di “deterioramento antropologico e civile”. Immaginare che anche quella casa – quelle mure antiche che hanno visto lo sprigionarsi, e il fissarsi su carta, dei pensieri più ribelli, più felicemente sovversivi e più profetici dell’Italia del secondo Novecento – possa diventare un “museo” come si intende oggi, e cioè non un luogo di ricerca e di condivisione della conoscenza, ma un’esposizione di oggetti preceduta da una biglietteria e seguita da un bookshop (rigorosamente detto in inglese, per non dispiacere agli stakeholders): immaginare tutto questo fa venire i brividi lungo la schiena.

E, allora, cosa farne? Come restituire questo luogo alla collettività? Credo che una destinazione felice potrebbe essere quella di “casa” per scrittori, poeti, registi “contro”: artisti privi di mezzi, e in contrasto col potere dei loro paesi; in contrasto col sistema. Una commissione, libera dalla politica, potrebbe selezionare ogni anno uno di costoro, permettendogli di abitare e scrivere in quel luogo, magnifico per storia e natura, in cui ancora aleggia un grande spirito profetico.

Più che dell’ennesimo “museo”, credo che il “progresso spirituale della società” di cui parla la Costituzione (art. 4) abbia bisogno di voci, scritti, poesie, film eretici come quelli di Pasolini.

Se la Torre di Chia ci aiutasse ad averne ancora, sarebbe “nostra” anche senza poterla visitare. Anche senza trasformarla nell’ennesima attrazione turistica.


Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 23 novembre 2020

Immagine in evidenza: fotografia di Domenico Notarangelo da Wikimedia Commons
Immagine nel testo: fotografia di Gigi753 da Wikimedia Commons