Altro che dissuasori: non si fa cultura sulle spalle degli schiavi

Lettera firmata da un lavoratore che teme rappresaglie

Sono un giovane storico dell’arte, dipendente di Ales, la società strumentale del Mibact. Ho appena letto che il direttore generale dei Musei, Antonio Lampis, ha dichiarato che un dissuasore costa meno di un custode e che assumere giovani è costosissimo. Un pensiero atroce, ma in fondo veritiero. Ennesima dimostrazione di come viene valutato il nostro patrimonio culturale.

Prima della pandemia il nostro mestiere consisteva in mansioni relativamente semplici su turni lavorativi faticosi. Indicare bagni e uscite, controllare i biglietti all’entrata, sorvegliare sale museali e accompagnare gruppi di visitatori. Personalmente ho sempre considerato il mio lavoro come una fortuna e riuscivo a ingannare la frustrazione grazie alla consapevolezza di lavorare in un posto splendido. Il 18 maggio dovrebbe essere la data di riapertura dei musei, il tutto senza che siano state date indicazioni precise e con il personale ministeriale anziano e sott’organico. La nostra società è ancora chiusa in un mutismo prevedibile, sia nei confronti dei lavoratori ancora sotto contratto sia di quelli a cui il contratto è scaduto. Noi unità funzionali alla fruizione del patrimonio culturale italiano, potremmo essere utilizzati in maniera differente da quella di ‘dissuasori che devono pagare l’affitto’: d’altronde l’importanza del mestiere di custode è implicita nel significato stesso del verbo custodire, un concetto complesso che fonde in una tre attività: la vigilanza, l’assistenza e la protezione. Il custode ha cura.

In un mondo che prospetta, almeno nel futuro prossimo, spazi privati sempre più pubblici (nel senso di condivisi virtualmente) e spazi pubblici sempre più privatizzati (in che modo vivremo le nostre piazze, i nostri musei e le nostre chiese?) il problema non è solo la frustrazione del singolo.

Il problema non riguarda solo il declassamento a dissuasore o la rivendicazione del ruolo di custode, o magari riuscire perfino a fare il nostro mestiere, quello dello storico dell’arte o archeologo.

Il problema è quello che tutti noi abbiamo da perdere.


Risposta di Tomaso Montanari

Cosa dirle, se non che ha completamente ragione? Finché una politica del patrimonio non partirà dalla dignità dei suoi lavoratori, l’articolo 9 della Costituzione rimarrà inattuato. Perché non si fa cultura sulle spalle degli schiavi: non siamo nell’Egitto dei faraoni. Potrebbe essere questa la volta buona? Potrebbe, ma viste le scelte del governo (riaprire subito le mostre!), dubito che lo sarà.


Lettera e relativa risposta sono stati pubblicati in “Il Fatto Quotidiano”, 12 maggio 2020

Fotografia (particolare) da Wikimedia Commons