Paola Somma
Nel 1839, durante la dominazione austriaca, la congregazione municipale di Venezia concesse alla Lionese, società di un gruppo di investitori francesi, l’uso gratuito di un’area affacciata sulla Laguna nord, di fianco alla chiesa e al convento di san Francesco della Vigna, per installarvi un impianto di distillazione di carbon fossile e produrre gas destinato all’illuminazione di piazza san Marco e delle aree contigue.
Il contratto venne più volte rinnovato, e l’area è sempre rimasta nel possesso delle società private che si sono succedute nel servizio di erogazione del gas. Dei cinque gasometri edificati al suo interno, ne rimangono in piedi due, rispettivamente costruiti nel 1882 e nel 1926. In quanto testimonianza di archeologia industriale, i due manufatti, che dopo la sostituzione, nel 1970, del gas con il metano, sono rimasti inutilizzati, sono vincolati.
Nel frattempo, però, l’area su cui sorgono, una delle poche non ancora edificate a Venezia, è diventata sempre più pregiata, anche perché tutte le amministrazioni comunali degli ultimi venticinque anni, non solo si sono adoperate per modificarne le destinazioni d’uso, che il piano regolatore del 1990 limitava a “standard urbanistici per servizi pubblici”, ma hanno approfittato di provvedimenti e finanziamenti statali per aumentarne l’appetibilità.
Parallelamente al continuo incremento di valore, si è così registrata una serie di passaggi di proprietà, attraverso transazioni la cui validità legale non è neppure certa, dal momento che i soggetti venditori avevano l’uso, ma non la proprietà del compendio.
Nel 2000, comunque, la società partecipata Vesta ha acquistato l’area da Italgas e, nell’ambito delle celebrazioni per il Giubileo, ha ottenuto finanziamenti statali per realizzare un terminal acqueo per “accogliere i pellegrini”, nella stessa posizione dove, secondo i promotori della sublagunare dall’aeroporto all’Arsenale, avrebbe dovuto sbucare la metropolitana d’acqua.
Subito dopo, il comune ha approvato una variante al piano regolatore, per dividere l’area in due parti, una destinata ad “attrezzature urbane e territoriali”, l’altra ad “attrezzature di quartiere”.
Negli anni successivi, gli standard sono stati ulteriormente ridotti, finché, nel 2012, Ezio Micelli, ordinario di estimo e assessore all’urbanistica della giunta del sindaco Giorgio Orsoni, li ha completamente eliminati, ha introdotto fra le destinazioni possibili quella residenziale e ha incluso l’area, equiparata a un “bene pubblico non strumentale all’esercizio delle proprie funzioni”, nel “piano delle alienazioni e valorizzazioni” del comune di Venezia.
Quindi Veritas (il nuovo nome della società Vesta) ha rivenduto l’area alla immobiliare Del Corso, che si è affrettata a chiedere l’autorizzazione per realizzarvi un nuovo insediamento privato di circa dieci mila quadrati residenziali e circa mille commerciali, inserendo parte della nuova edificazione all’interno dei tralicci dei gasometri, il che priverebbe di sole, luce e aria, la vigna che i frati francescani dell’omonimo convento non hanno mai smesso di coltivare.
Mentre la trattativa era in corso, il sindaco Orsoni, coinvolto nelle vicende giudiziarie del Mose, è stato costretto a dimettersi, ma il commissario straordinario Vittorio Zappalorto ha velocemente ripreso in mano la pratica, ha approvato il progetto e sottoscritto una convenzione nella quale si prevede che, “per compensare standard non reperiti”, il privato realizzerà “alcuni interventi di interesse pubblico fuori ambito”. Tali interventi avrebbero dovuto consistere nella costruzione di una palestra nel cortile (in verità un pregevole chiostro) del vicino istituto tecnico Paolo Sarpi.
Forse per il timore che le reazioni fortemente contrarie, sia da parte della scuola che dei cittadini, ritardassero l’operazione, o semplicemente per incamerare rapidamente il plusvalore garantito dalla convenzione, l’immobiliare Del Corso ha ceduto l’area, ormai dotata dell’autorizzazione a realizzare un nuovo insediamento residenziale, a MTK, società di proprietà di Ivan Holler, un finanziere austro-ungherese al quale l’attuale sindaco, Luigi Brugnaro, ha già consentito di costruire il cosiddetto distretto degli hotel, accanto alla stazione di Mestre.
Come prevedibile, Holler ha chiesto il cambio di destinazione da residenziale a alberghiera, spiegando che “per essere remunerativo, l’insediamento residenziale dovrebbe consistere in abitazioni di lusso da vendere a stranieri, che li occuperebbero per due settimane l’anno per poi affittarli a turisti, mentre i turisti che vivono negli hotel portano vita, soldi e lavoro”. In più occasioni Holler si è vantato di avere già le autorizzazioni per l’albergo, al quale pensa di fare arrivare i turisti “con un taxi-drone direttamente dall’aeroporto”. Inoltre, a dimostrazione di chi sono i pianificatori di Venezia, ha aggiunto che poco importa cosa pensano gli abitanti. “Qualche persona non sarà contenta”, ha detto, “ma in ogni città c’è qualcuno che protesta”.
Mentre l’investitore fa il suo mestiere, il sindaco si limita a dichiarare che “al momento” Holler può costruire solo residenze e che il comune non intende cambiare idea, “a meno che non siano i ragazzi a chiedercelo”. La sua idea di partecipazione democratica, infatti, consiste nell’individuare, di volta in volta, gruppi specifici di cittadini e negoziare con loro. In questo caso, spetterebbe ad alcuni studenti di decidere se la città debba rinunciare ai gasometri in cambio di una palestra, per la cui realizzazione peraltro dovrebbe sacrificare un’altra area pubblica. Il terreno, infatti, che il comune e il privato hanno ora congiuntamente individuato, si trova all’interno del recinto dell’Arsenale, ed è “disponibile previa demolizione di due capannoni”.
Negli ultimi due mesi, durante i quali, a causa dell’epidemia, le attività “non strategiche” avrebbero dovuto fermarsi, l’unico cantiere aperto in città è stato quello ai gasometri, dove sono iniziati i lavori di bonifica preliminari alla nuova edificazione. Inutili le proteste degli abitanti degli edifici di fronte, passibili di sanzione se uscivano, ed obbligati a stare a casa a respirare polveri ed esalazioni provocate dalle demolizioni.
“Siamo tornati sotto il dominio degli austroungarici”, si lamenta qualche veneziano. Il problema vero, in realtà, è che, ora come allora, sono i notabili locali “collaborazionisti” a garantire il successo degli occupanti e dei profittatori.
Fotografia di Paola Somma