Stop a nuovo cemento. Servizi e artigianato i settori su cui puntare

di Vittorio Emiliani

Si parla sempre più del “dopo” e anche Roma, assai meno colpita di Milano, di Torino, di Brescia, in proporzione alla sua popolazione e superficie comunale, dovrà pur ” ripartire”, con tutte le precauzioni che la pandemia esige. E allora conviene fare almeno “l’inventario” di quanto c’era prima e di quanto va ripristinato, modificato, riutilizzato con seri correttivi, ecc.

In questi giorni si riparla di meno vincoli alle costruzioni edilizie, dimenticando alcune cose essenziali. Roma registra un consumo di suolo pazzesco: le stime Ispra (31 mila ettari ” impermeabilizzati” su 129 mila), già da brivido, vengono da altri centri studi qualificati innalzate a 51 mila o addirittura a 61 mila, quasi alla metà di un territorio comunale superato in ampiezza in Europa dalle conurbazioni di Ankara e di Istanbul e dalla Greather London che però è l’unione ( molto interessante) di tutti i Comuni di un’area assai vasta. Inoltre da anni Roma si trascina dietro uno stock di edilizia residenziale di mercato invenduto o sfitto sui 180 mila alloggi e di non residenziale per centinaia di migliaia di mq. Per chi allora queste nuove costruzioni?

Le recenti ” guerre fra i poveri” per alloggi a fitto sociale o economico confermano che questa è la sola edilizia di cui Roma ha estremo bisogno essendo assente da anni dal panorama della Capitale. Con una popolazione comunale complessiva praticamente ferma a 2.860.000 persone (2018 — 0,6 % sull’anno precedente), con una quota di nascite “romane” (fa senso persino dirlo) che nel terzo millennio è calata dal 91,9 all’ 82,6 % e quella straniera è balzata dall’8,1 al 17,4. Il progetto per un quartiere di “social housing” (privato peraltro) a Santa Palomba con 950 appartamenti da acquistare o affittare a prezzi convenzionati è in ballo ormai da un paio d’anni e però non sembra decollare.

Il grande business anche per i privati poteva essere l’edilizia di “sostituzione”, cioè l’abbattimento e la ricostruzione (con ” premi” in mc e però senza stravolgimenti tipo Piano Casa Regionale) di edifici sorti con difetti e precarietà strutturali, ma temo che il solo esempio rimanga quello di Giustiniano Imperatore risalente al 2004 e conclusosi alcuni anni dopo. Con un Prg Veltroni- Morassut che purtroppo prevedeva 65 milioni di mc di nuova edilizia e quindi per questo verso risulta inservibile. Inoltre va rilevato, in questo primo inventario, che le costruzioni prima dello “tsunami” pandemico non erano già più ai primi posti per l’occupazione romana. Una recente statistica sul valore aggiunto registrato dalle imprese manifatturiere della Capitale, pone al primo posto col 25,4 % cokerie, raffinerie, chimico- farmaceutiche, al secondo col 16,4 la fabbricazione di computer e di altri strumenti elettronici, di macchinari, ecc. e al terzo col 10,8 le industrie alimentari, delle bevande e del tabacco.

Fino a qualche mese fa uno dei problemi centrali era certamente quello di un turismo di massa sempre più veloce e sempre più di basso livello per il quale l’offerta romana si era subito adeguata, purtroppo al ribasso con una perdita di qualità nell’offerta, di decoro urbano, con pochi controlli (per b&b, case e alloggi vacanze, ecc.). Ricomincerà tutto come prima e magari peggio? Alcune avvisaglie ci sono purtroppo su un nuovo dilagare di tavolini. Un recente Rapporto dell’Associazione Nazionale Centri Storici ( Ancsa) presieduta da Francesco Bandarin, ex Unesco, ci dice che nel centro storico romano i Servizi di produzione generano ancora il 19% dell’occupazione, l’artigianato un 3% e industria/artigianato un altro 3% che sarebbe demenziale impoverire ulteriormente. Nella geografia complessiva del vastissimo Comune i Servizi alla produzione rappresentano poi il 27 %, l’industria e l’artigianato il 10. Il “dopo” deve prevedere una politica molto attenta a questa imprenditoria che spesso è giovanile, innovativa e fortemente tecnologizzata.

Resta — ed è un macigno — il problema del “governo” di Roma, unica capitale europea priva di un suo regime speciale, ma dipendente dalla Regione Lazio, anche urbanisticamente. Col rapporto Campidoglio- Municipi inceppato e una inutile Città Metropolitana. Vogliamo parlarne? O fare ancora gli struzzi?


Articolo pubblicato in “la Repubblica – Roma”, 23 aprile 2020

Fotografia da Piqsels

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